“Strane cose, domani” di Raul Montanari

di / 21 luglio 2010

Una Milano piovosa con l'accenno favolistico di due mongolfiere che puntinano il cielo uniformato dal maltempo, un padre e un figlio, ma soprattutto un diario misterioso, ritrovato per caso abbandonato su una panchina. Ci vuole poco per far esplodere l'incipit del nuovo thriller psicologico, Strane cose, domani (Baldini Castoldi Dalai Editore, 2009), firmato Raul Montanari.

La storia si abbandona al cliché, proponendo un corollario di figure chiave che muovono con facilità imbarazzante gli umori della trama e quelli del lettore curioso. È' il meccanismo del giallo che lancia la sfida di una narrativa tutta da costruire insieme ai personaggi traditi/traditori, innocenti/colpevoli, vittime/assassini. Lo sa bene Montanari che plasma un protagonista borderline, capace di far saltare in aria i circuiti stabiliti dal genere letterario.

Psicologo e assassino per caso, Danio convive con l'incubo di un omicidio perpetuato da bambino per legittima difesa e conduce una vita complicata, attorniato da una pletora di donne: una moglie arrabbiata, un'amante giovanissima e un carnet di pazienti con problemi da manuale. La sua vita, insieme al nodo della trama, precipita con l'entrata in scena di una nuova presenza femminile, Federica, che con la sua triste storia apre inaspettatamente un vaso di Pandora pieno zeppo di peccati taciuti. E qui si scopre che gli omicidi di cui il "buon" psicologo si è macchiato le mani potrebbero essere più di uno.

L'effetto è facile da prevedere, soprattutto per gli amanti della categoria. Delitti nascosti tra i sogni e riportati alla luce dalle inchieste di un investigatore privato con immancabile impermeabile. Ricerche condotte seguendo la pista di un diario – metafora per antonomasia del messaggio in bottiglia – che si  scoprirà essere il detonatore dell'intera vicenda. Personaggi ambigui, rapporti conflittuali lasciati a macerare in un succulento sfondo noir. E la città, con i suoi punti di pausa e di luce, trasfigurati nel verde dei parchi, e suoi angoli di buio, tutti concentrati lungo il perimetro delle periferia, scenario prediletto per consumare crimini ed efferatezze.

Lo stile si adegua a una narrativa che strizza l'occhio alla sceneggiatura, soluzione azzeccata in particolar modo per le parti dialogiche. Nulla è scelto a caso per rendere vincente il meccanismo del "mistero che si svela". Il lettore trema insieme  allo psicologo-assassino-eroe: chi si salverà dalla fine della storia? Ma soprattutto, quanto può essere sottile la linea che divide il bene dal male? Su questo filo invisibile, lo scrittore lascia in sospeso il lettore con il classico colpo di scena che chiosa gli eventi e manda tutti a casa contenti. L'equilibrio narrativo è ristabilito, il cerchio è chiuso e nella diapositiva finale ritorna, rassicurante, l'immagine colorata delle mongolfiere.

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