Intervista a Davide Desario, autore di “Storie Bastarde”
di Discussione sulle periferie / 2 novembre 2010
Davide Desario, giornalista de "Il Messaggero", è l'autore di un bel libro, Storie bastarde(Avagliano, 2010) che racconta uno squarcio d'Italia, quello alla periferia di Roma, che è stato materia di studio e condanna a morte di un autore come Pier Paolo Pasolini.
Anni settanta. Idroscalo di Ostia. Estrema periferia di Roma. Lì dove sono cresciuti boss della malavita e brigatisti. Ma anche molti ragazzi qualsiasi. Lì dove è morto ammazzato Pier Paolo Pasolini e un pezzo di storia del nostro paese. Lei, trentacinque anni fa, era un bambino ma penso che la morte dello scrittore di Casarsa abbia influito e non poco sulla sua formazione. Qual è il suo rapporto con l'opera di Pasolini?
Da ragazzo a casa trovai sulla librerie del corridoio il libro di Pasolini Ragazzi di vita. Comincia a leggerlo per curiosità. E mi piacque molto anche perché riconoscevo qualche luogo e mi piaceva quel modo di scrivere semplice e diretto. Vero. Da qual momento ho seguito Pasolini. Mi è piaciuto molto come intellettuale e i suoi interventi sui giornali, la sua indipendenza che difendeva ad ogni costo e che forse gli è costata la vita. Una mente libera. I suoi film, invece, non mi hanno mai conquistato. Poi ho
visto e rivisto il capolavoro di Marco Tullio Giordana Pasolini, un delitto italiano. Un film che tutti dovrebbero vedere.
Oggi, dopo il successo di Romanzo criminale, va molto di moda il racconto di quella Roma violenta che dagli anni settanta si è affacciata al nuovo secolo tra risse, pestaggi, contrabbandi e corruzioni. Lei, che è giornalista della cronaca cittadina, pensa che questi strati della società "deviati" sono ancora così influenti sulla vita di tutti i giorni?
Penso che siano meno influenti.Oggi comandano i colletti bianchi, non c'è bisogno di sparare a Roma per gestire fiumi di soldi. Si "spara" con le carte di credito, si movimentano soldi e si fanno affari in maniera meno cruenta. A far scorrere sangue sono rimaste bande meno organizzate spesso di
malavita straniera che gestiscono affari meno remunerativi e più sporchi.
Ci parli di Storie bastarde, questo libro che parla così bene di quei ragazzi cresciuti appunto "tra Pasolini e la banda della Magliana".
Erano ragazzi semplici. Basici. Erano ragazzi che hanno fatto l'università della strada, quando certe strade ringhiavano. C'è stata una selezione un po' darwiniana. Chi non aveva carattere, chi non aveva una famiglia sana alle spalle, chi non è riuscito a vincere i mostri come la droga non ce l'ha fatta. Ma questo non vuol dire che erano ragazzi malvagi. Anzi, forse proprio i più deboli hanno imboccato la strada sbagliata. Quella che ti porta dritto con un ago nel braccio o una pallottola nello stomaco. Ho
parlato della periferia di Ostia ma è solo una lente d'ingrandimento sull'Italia di quegli anni. Queste storie bastarde e i protagonisti appartengono ad ogni periferia italiana.
Le storie che lei racconta sono reali. Stare per strada come unico modo di stare al mondo. Qual è l'unica strada per sopravvivere? Cosa cambia nella periferia dioggi e quella di ieri? Il centro si sta avvicinando alla periferia o viceversa?
Io non so quale sia l'unica strada per sopravvivere. So che ce l'ho fatta e tanti altri no. In tutti questi anni molte cose sono cambiate. Noi avevamo un rapporto fisico con la città, l sue strade, i suoi autobus, le vetrine dei negozi.Oggisi può stare ai confini del mondo ma non sentirsi periferici grazie a un computer e ad una connessione a internet. Però resta una società più fredda. Non si vedono più i ragazzi giocare per strada a pallone, i commercianti non conoscono più i ragazzini per nome, siamo tutti più al centro del mondo ma anche più estranei.
Perché ha scelto la forma-racconto? Com'è nata l'idea del libro?
È un libro nato un po' per caso. E come spesso accade le cose fatte d'impeto sono quelle che riescono meglio. Lo scorso anno ho avuto un infortunio e sono stato costretto a rimanere un mese a casa. Così ho cominciato a mettere nero su bianco i miei ricordi di “pischello” nato alla periferia di Roma. Ricordi che non avevano mai avuto un po' di tempo tutto per loro. Ogni notte scrivevo una storia bastarda e poi all'alba la pubblicavo su Facebook. Sono stati proprio i miei amici che spesso mi hanno
anche aiutato con particolari a spingermi a provare a farne un libro. Ho fatto un po' di test con persone esperte e competenti che mi hanno detto che era un buon lavoro e valeva la pena di cercare un editore che me lo pubblicasse. A questo punto la mia strada si è incrociata con quella della casa editrice Avagliano. Per fortuna hanno creduto in me. Ed è nato il libro.
C'è molta musica in questo libro. Perché?
Sono un appassionato di musica. Tutta la musica senza pregiudizi: dall'heavy metal al reggae. Ho imparato ad ascoltarla proprio grazie a quei ragazzi di Storie Bastarde. Ognuno di loro suonava uno strumento. E
suonavano, suonavano. Affittavano garage e facevano le prove e a casa avevano centinaia di Lp e 45 giri. Io no. Io non suonavo alcuno strumento ma mi piaceva tanto ascoltarli. Una passione che non si è mai spenta. Ancora oggi ad ogni persona collego una canzone e a ogni canzone una persona. È una specie di gioco che mi accompagna giorno dopo giorno. Era inevitabile, quindi, che scrivendo un libro di racconti consigliassi al lettore un ipotetico 45 gire con un lato A e un lato B da sentire come colonna sonora.
Chiudiamo. Per Pasolini la periferia ha rappresentato tutto. La vita e la morte. Ma soprattutto un pozzo dove attingere artisticamente in maniera costante. Cosa rappresenta per lei?
La periferia credo sia quello spicchio di mondo dove ancora si possono cogliere le differenze, le particolarità, gusti e profumi speciali. È quel che resta di una società troppo omologata, troppe fotocopie. Dove sia non lo so. Ma quando la incontro me ne accorgo.
Grazie mille da parte mia e di tutta la redazione di Flanerí.
Grazie a voi per l'ospitalità.
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