Conversazione con Viola Di Grado

di / 2 maggio 2011

Intervistiamo Viola Di Grado, una delle autrici più promettenti del nostro panorama letterario. Nel suo primo libro Settanta acrilico trenta lana (E/O, 2001), opera che sta riscuotendo un ottimo successo di critica e di pubblico, ci immergiamo in una favola dark che non lascia, e non vuole lasciare, alcun lieto fine. Una storia di alienazione e di depressione, di disperazione e di ossessione raccontata con uno stile lirico e "lacerante" a tratti "strabordante".

La tua scrittura innovativa, immaginifica e graffiante, ricca di iperboli, sinestesie, allitterazioni scaturisce direttamente dalla tua creatività o è qualcosa di meditato, di studiato? Come nasce questa storia di alienazione e depressione?

70 % istinto 30 % studiato, o forse il contrario. C'è la forza violenta dell'ispirazione ma c'è anche il lavoro di tornare sempre indietro e limare ogni frase fino a raggiungere il mio ideale di scrittura: fino ad affilare cioè ogni frase per renderla letale.

Il rapporto conflittuale fra madre e figlia può sembrare un tema abusato, eppure secondo me è trattato da te da una prospettiva diversa, direi straniante; è giusta la mia sensazione?

Sì, non era mia intenzione raccontare semplicemente di un "rapporto madre-figlia", volevo raccontare un rapporto madre-figlia straniato e capovolto. Non m'interessa raccontare cose senza deformarle, per me raccontare è attraversare con le mie storie lo specchio di Alice.

Il padre di Camelia, cronista, era un appassionato di storie, perché Camelia ha paura invece delle storie?

Da piccola, come tutti i bambini, voleva essere al centro dell'attenzione. Le "storie" di cui suo padre andava in cerca la sottraevano all'attenzione esclusiva di lui. Lei comincia allora a vedere le storie come mostri. Poi, dopo il rifiuto di Wen di cui lei è innamorata, Camelia torna a temere le storie nel senso di tutte le interazioni sociali, le storie d'amore e di amicizia e di felicità che le sembra accadano continuamente a tutti tranne che a lei.

Quando hai capito che saresti diventata una scrittrice e che il tuo manoscritto sarebbe stato pubblicato? Qual è il primo riscontro da parte del pubblico?

Ho deciso che volevo fare la scrittrice quando avevo 5 anni. Ho saputo della pubblicazione uscendo dal supermercato, con un messaggio in segreteria del mio editor, Claudio Ceciarelli, che mi diceva che il romanzo gli era piaciuto moltissimo. Il primo riscontro è molto positivo: ricevo molte lettere entusiaste, ed è bellissimo che persone che non conosco mi abbiano sentita così vicina.

Hai un autore o un libro a cui ti senti particolarmente vicina o da cui hai tratto ispirazione?

Mi sento vicina a Bjork. Alle sue dissonanze e alla sua anarchia rigorosa.

Per concludere, puoi dirci qualcosa sui tuoi progetti futuri? Hai in programma un nuovo romanzo?

Sì, ci sto lavorando.

A presto e grazie.

Grazie a voi.


Leggi la recensione di Flanerí.

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