Il giardino dei Lorchitruci (In “Eroi”)
di Francesca Lulleri / 20 giugno 2011
L’ultima fatica letteraria di Fernando Bassoli è una favola postmoderna, d’ispirazione idealista, che ben si colloca nel contesto dell’odierna, paradossale società che ci circonda.
Ricca di contenuti morali e trovate degne di nota (ad esempio quella del prete, Don Ciarlante, che nasconde due corna fra i capelli, ottimo sunto dei proverbi: “l’abito non fa il monaco” e “l’apparenza inganna”), manifesta l’arguzia dello scrittore che, grazie a una satira mai banale, descrive la realtà che ci circonda e, con essa, certe tipiche convinzioni (es. più studio = lavoro migliore) alle quali tutti si aggrappano disperatamente, per non soccombere nella quotidiana battaglia per la sopravvivenza.
Il tema centrale della favola “Il giardino dei Lorchitruci”, risultata, proprio in questi giorni, tra le opere vincitrici del concorso nazionale “Oceano di Carta 2011” bandito dalla SensoInverso Edizioni, è, a ben guardare, il rapporto fra titolo di studio e inserimento nel mondo del lavoro.
La storia narra di due amorevoli genitori che ripongono una fiducia smisurata nelle capacità del figlioletto, tanto da creare una sorta di leggenda (l’esistenza dei misteriosi Lorchitruci) solo per spronarlo a studiare di più…
Ma andiamo dentro il testo e analizziamo, ragionandoci sopra, i messaggi reconditi che l’autore ha voluto trasmetterci.
“Il giardino dei Lorchitruci” deve/può farci riflettere su più aspetti:
l’autore ci parla di una famiglia sempre “presente”, ma oggi molti genitori sono superimpegnati e ritengono opportuno affidare (abbandonare?) i figli in mano a persone che ne fanno (male) le veci, lasciandoli crescere (o non crescere?) incollati alla tv o al computer, non senza rischi di varia natura.
Alla lunga, però, tale sovraesposizione mediatica provoca un’alterazione della percezione della realtà, con la conseguente frequente identificazione in veri e propri modelli negativi.
Ecco allora spuntare il miraggio del denaro facile, alla “moda” anche se sporco.
Ecco la discriminazione verso i lavoratori veri, onesti, quelli che faticano e sudano per meritare davvero qualcosa.
Ecco l’abbandono delle passioni-pulsioni artistiche a favore dei guadagni semplici e senza alcuno sforzo. Ed ecco che molti bimbi vivono sotto campane di vetro, come pesci dentro comodi acquari che, prima o poi, si romperanno, facendogli capire quanto duro sia l’incontro con la realtà.
Ma non finisce qui. L’idea collettiva che questi lavori siano il massimo che la vita può offrire, solo perché garanzia di facili guadagni, induce alcuni genitori a minimizzare la dignità e l’importanza del vero lavoro “onesto e faticoso” che fanno per mantenere la famiglia, a sottovalutarsi. A buttarsi via. Ed è proprio questo, uno dei mali della nostra società. Dobbiamo essere coscienti che non esistono lavori di serie A o di serie B. L’importante è che siano onesti. Un operatore ecologico ha la stessa dignità di un avvocato, un bidello di un professore, una cameriera di una commercialista affermata.
Oggi sappiamo che purtroppo anche lo studio non garantisce più un lavoro degno di tale nome, e infatti la disoccupazione cresce, ma ogni tipo di occupazione, concepita nel pieno rispetto della persona, deve apparire agli occhi dei bambini, e anche degli adulti, un mezzo che permette di vivere con onore e quindi motivo di soddisfazione.
Siamo, in estrema sintesi, di fronte a una favola ricca di insegnamenti, forse più adatta agli adulti e ai ragazzi piuttosto che ai bambini. Da leggere per riflettere e cercare di capirsi un po’ di più.
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