Ungaretti & Apollinaire: l’amore & la guerra
di Angelo Gasparini / 8 luglio 2011
Quando parliamo di Ungaretti e Apollinaire, si parla di due poeti che hanno segnato profondamente la storia dei propri Paesi di provenienza ma anche, più in generale, l’avventura letteraria europea della prima metà del secolo scorso. L’italiano, lavorando sul verso libero, sulla parola “piena” nello spazio vuoto, sulla cesura e l’enjambement portato ad una sillabazione quasi limite, inaugura una nuova stagione della poesia italiana. La parola ungarettiana è un vocabolo volutamente pregno di quelle emozioni e sentimenti riconducibili alla sfera del quotidiano o alla più ampia riflessione del disegno universale che accomuna ogni uomo. In breve, con Ungaretti la vita di tutti i giorni coincide con la parola poetica, anima pulsante della materia lirica.
Apollinaire ha, invece, incarnato per la Francia e l’Europa intera il testimone rivoluzionario di una serie di mezzi espressivi, su tutti il calligrammi, e di una poesia che, emancipatasi dalla tradizione, ha lasciato libero l’artista di esprimere un ventaglio di sensazioni dalle più comuni alle più sconvolgenti, notoriamente disegnante con le parole. I due poeti erano amici, si erano conosciuti a Parigi dove Ungaretti aveva abitato per alcuni anni. Tra di loro era sbocciata subito una grande intesa, un legame profondo che sarebbe durato fino alla fine. Ungaretti, che durante la Grande Guerra aveva combattuto in Francia, andava a trovare l’amico non appena ne aveva l’occasione. Guillaume amava terribilmente i sigari italiani e, ogni volta che “Ungà” rientrava in Italia gliene portava qualcuno. A quell’epoca, Apollinaire era già molto conosciuto mentre l’amico era agli inizi della sua carriera. Erano entrambi collaboratori di “Lacerba”. Il poeta francese era morto il nove novembre millenovecentodiciotto, il giorno in cui Ungaretti era passato a casa sua per annunciargli la fine della guerra. I nostri poeti, nella loro breve e intensa amicizia, avevano condiviso parecchie cose; fra queste l’esperienza della guerra ma, soprattutto, la passione per Luoise de Coligny-Chatillon, più semplicemente conosciuta come Lou. La donna rievocata dalla poesie La chiamavano Lou del poeta transalpino, è altresì la protagonista del componimento ungarettiano Nostalgia. La guerra invece, altra esperienza indelebile della vita di entrambi gli scrittori, la esamineremo più avanti in due poesie cui curiosamente gli autori hanno dato lo stesso titolo: Veglia.
LA CHIAMAVANO LOU
Ci sono lupi di ogni sorta
Io conosco il più disumano
Il mio cuore che il diavolo con se porta
E che ha deposto alla sua porta
Non è che un giocattolo nelle sue mani.
I lupi un tempo erano fedeli
Come lo sono le tortore
E i soldati delle belle donne amanti
Nel loro ricordo galanti
Così come i lupi erano dolci.
Ma oggi i tempi sono peggiorati
E i lupi sono tigri diventati
E i Soldati e gli Imperi
I Cesari sono diventati Vampiri
Come Venere sono crudeli.
Guillaume Apollinaire
NOSTALGIA
Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa
Su Parigi s'addensa
un oscuro colore
di pianto
In un canto
di ponte
contemplo
l'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue
Le nostre
malattie
si fondono
E come portati via
si rimane.
Giuseppe Ungaretti
La tematica amorosa trova sicuramente più spazio e approfondimento nell’opera del poeta francese. Anche nella scrittura di Ungaretti viene sviluppata, ma meno frequentemente, e con delle sfumature più delicate, esotiche o, talvolta, edonistiche.
Ungaretti aveva conosciuto Lou a casa del suo amico e se ne era innamorato, un sentimento condivisa anche dalla donna. Le poesie sopracitate ci testimoniano l’amore verso Louise, ma da due prospettive differenti. In Nostalgia, l’”uomo di pena” utilizza l’escamotage del ricordo per tracciare un abbozzo della donna amata, un’evocazione dolce e nostalgica in cui la Lou è vista come “una ragazza tenue”. Al contrario, per Apollinaire la donna è una specie di “lupo” di cui si sente preda, “un giocattolo” nelle mani del diavolo. Purtroppo per lui, però, i tempi cambiano ed i lupi che una volta erano fedeli, adesso non lo sono più e “come Venere sono diventati crudeli”. Nel testo dell’italiano, il lupo crudele lascia il posto alla “ragazza tenue”. In Nostalgia , Ungaretti ci parla di un ancora vivo ricordo della sua vita parigina, tornatogli alla mente durante i giorni tristi e difficili della guerra. La Parigi rievocata dal poeta è una città indefinita così come indefinite o sfumate sono le ore che trascorrono, quel lasso di tempo compreso tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Giusto in questa atmosfera nasce la voglia di comunicare, di ricevere il calore di una donna: Lou, colei che incontrerà all’angolo di un ponte. Questa figura femminile, dolce e misteriosa, non solo incarna l’ansietà della città e delle sue “icone”, ma è anche la metafora dell’attesa e della sofferenza della vita quotidiana.
VEGLIA
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Giuseppe Ungaretti
VEGLIA
Mio caro André Rouveyre
Troudla [ti scrivo dalla zona]
Champignon Tabatière
Non sappiamo quando partiremo
Né non sappiamo quando tornemo
Al Mercure de France
Marzo riporta ogni colore della speranza
Ho inviato una lettera
Su un foglio a quadretti
Sento i passi dei grossi cavalli dell’artiglieria che vanno al trotto sullo
stradone dove io faccio la veglia
un grande mantello grigio matita come il cielo mi avvolge
fino alle orecchie
Guillaume Apollinaire
L’esperienza della guerra gioca un ruolo fondamentale nella vita dei nostri poeti che l’hanno vissuta in prima persona e di cui spesso troviamo testimonianza nell’opera. Le poesie riportate sopra, recanti il medesimo titolo, altro non sono che l’ennesimo documento letterario che i due autori ci hanno lasciato inerenti alla Grande Guerra. Il componimento italiano è caratterizzato da un’atmosfera tragicamente intensa e, a tratti allucinata; il testo è ricco di dettagli legati all’esperienza in trincea in cui lo spunto privato assurge al vissuto universale della guerra e il racconto del singolo, così particolareggiato, sfocia irrimediabilmente nel mero cronachistico. La durezza della vita in trincea si rivela al lettore in tutta la sua durezza. È Natale e il poeta scrive ai suoi amici lontani delle “lettere piene d’amore”, un amore verso il quale è spinto da una forza inarrestabile nonostante lo scenario insanguinato che vive di giorno in giorno. Accanto a lui c’è un uomo “massacrato”, il cui corpo è pressato contro il suo; egli avverte lo spasmo dell’amico, tutto l’orrore della morte che sopraggiunge ed è proprio in quel momento che Ungaretti si sente attraversato da uno slancio elementare e, allo stesso tempo, inesorabile verso la vita.
Nella lirica francese, invece, Apollinaire si rivolge all’amico André Rouveyere Troudla, scrivendogli dalla zona della Champignon Tabatière, dove è stato inviato. Il poeta avverte tutta la precarietà di una vita/situazione in cui non si sa né quando si parte né quando si torna. Tuttavia, Apollinaire riesce sempre a trovare dei momenti da riservare all’attività letteraria e scrivere al giornale Mercure de France una lettera scritta su un “foglio a quadretti” mentre “un mantello grigio matita” lo riscalda durante la veglia di una notte invernale.
Il conflitto finisce il giorno stesso in cui Apollinaire muore a causa della febbre spagnola; Ungaretti che era corso a casa dell’amico per dargli la buona notizia, lo trova morto, una morte che, tuttavia, non riuscirà mai a cancellare il grande affetto che il poeta italiano continuerà a sentire per il suo grande amico e maestro francese.
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