“Una famiglia come tante” di Barbara Notaro Dietrich

di / 10 febbraio 2012

Chi di noi, osservando un dipinto, non si è sorpreso a interrogarsi sulla storia del soggetto raffigurato o ha tentato di ricostruire una vita dando spessore, profondità al personaggio? Ecco ciò che è successo alla scrittrice Barbara Notaro Dietrich, la quale è partita dalla superficie della tela per raccontare la storia di Una famiglia come tante, che vive «in quel Paese che aveva reso grande la famiglia e quella solida casa in pietra semplice stava lì a dimostrarlo». La saga familiare prende vita in un continente vasto, attraversato da praterie sconfinate, e percorso da strade infinite che costeggiano interi deserti. Il paesaggio americano rappresentato da Edward Hopper fa da décor all’azione e la luce accecante di giorni splendenti, ci abbaglia mostrandoci i personaggi, pensiamo a Clara e Alice, «nel sole». Queste due, in particolare, appaiono sfrontate e piene di speranze verso il futuro. Altre volte affiora una visione più intima e privata: le si scorge allora quasi di nascosto dietro i «vetri ampi delle finestre prive di tende» come per svelarne i più intimi segreti. Può accadere che il punto di vista cambi e l’occhio estraneo di una telecamera faccia incursione in un interno cogliendo l’attimo preciso in cui lo smarrimento di un’anima si riflette sul vetro, proiettando illusioni o disillusioni verso l’esterno: «La sua posa preferita, leggermente di tre quarti, lo sguardo oltre la finestra, confine del mondo».


Una famiglia americana è rappresentata nella metà del secolo scorso con i drammi interiori dei suoi membri; la guerra fa da sfondo lasciando soltanto un’eco attutita. Un intero albero genealogico si dispiega sotto i nostri occhi di lettori, dal vecchio capostipite Silber sino ai giovani nipoti.


Il romanzo è costruito sulle relazioni che intercorrono tra consanguinei: matrimoni, viaggi di nozze, tradimenti, abbandoni, funerali. Talvolta la lettura di una lettera funge da raccordo tra due personaggi lontani nello spazio e nel tempo. La presenza del destino sembra muovere i fili dall’alto aleggiando su tutti: Marta, Prudence, Cristina, «perché ognuno aveva un posto assegnato, a teatro come nella vita. A ciascuno viene dato un destino e per quanto si possa lottare e combattere e cercare di contrastare la sorte, il destino chiama e si realizza al di là di ogni nostra volontà». L’idea di un destino ineluttabile proviene forse dall’immobilità del soggetto nella tela (cui si ispira la narrazione), il quale resta sempre uguale in un istante perenne senza appello. Il soggetto non potrà aver alcun ripensamento, esitazione, slancio verso il futuro poiché è pittoricamente destinato a restare fermo in una posa che non potrà mai cambiare.


La famiglia è, dunque, la protagonista assoluta del libro della Notaro Dietrich, e i suoi componenti sono tasselli uniti da legami di sangue: padri e figlie; fratello e sorella; uomini sposati e amanti sedotte e abbandonate. Proprio il sangue, che unisce e respinge al tempo stesso fa da trait d’union, simboleggiato dal colore rosso. Il rosso del sangue scorre come vita nelle vene, ma è anche emorragia d’amore incontenibile che sgorga a fiotti da ferite insanabili che il tempo non potrà rimarginare.



(Barbara Notaro Dietrich, Una famiglia come tante, DEd’A Edizioni, 2011, pp. 106, euro 15)

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