“Dio la benedica, dottor Kevorkian” di Kurt Vonnegut
di Chiara Fratantonio / 24 agosto 2012
Prendete una porta per l’aldilà, un uomo ancora vivo che ci arriva per intercessione di una guida e una serie di personaggi morti in un passato più o meno prossimo a cui porre delle domande.
Evitate le terzine, le fiamme e le fiere e immaginate una cella piastrellata in un carcere di Huntsville, nel Texas. Il viaggio inizia da qui. E dura solo settantatré pagine.
Il coraggioso uomo in questione è Kurt Vonnegut, che troviamo eccezionalmente nella veste di reporter dell’altro mondo e speaker radiofonico per la Radio Nazionale Pubblica WNYC di Manhattan. Dalla lettiga della camera destinata alle esecuzioni capitali e con l’apparecchio generalmente usato per immortalare le ultime parole dei condannati, Vonnegut registra la cronaca di ventuno viaggetti pre-morte: passeggiatine nel tunnel celeste e fino alle porte del Paradiso. Andata e ritorno. Per fare delle interviste. A chi? A chi capita, ovvio.
Guai a disturbare o a fare troppe richieste a San Pietro. È un tipo irascibile, si sa, e gli tocca già sopportare Sir Isaac Newton, che dal 1727 è inchiodato lì sulla porta e lo assilla per tentare di capire come funziona il tunnel celeste. Di cosa è fatto? Di stoffa, di metallo, di legno o che altro?
Ma per caso, in Paradiso, si incontra un sacco di gente. Anche perchè, ricordiamolo, l’Inferno non esiste.
L’avreste mai detto che Adolf Hitler coccolasse giorno dopo giorno la speranza di vedere un monumento eretto alla sua memoria con su scritto «Scusatemi»?
E che qualcuno si fosse rivolto a Shakespeare congratulandosi per tutti gli Oscar vinti dal film Shakespeare in Love?
Che Louis Armstrong avrebbe messo su una brass band per accogliere in Paradiso i più meritevoli con “When the Saints Come Marching in”, invece, ce lo immaginavamo un pò tutti.
La siringa e la mano che permettono tutto questo appartengono nientepopodimeno che a Jack Kevorkian, il Dottor Morte, che predispone alla perfezione tutte le iniezioni non proprio letali e permette al signor Vonnegut di arrivare in Paradiso e poi, in via del tutto eccezionale, di tornare indietro.
Un brutto giorno, proprio mentre il reporter sta per iniziare il racconto della sua ultima intervista al pluripremiato Isaac Asimov, il Dottor Morte viene ammanettato e portato via.
Ciao ciao Dottor Morte. Ciao ciao viaggetti. E ciao ciao WNYC.
Dio la benedica, Dottor Kevorkian è un libro da rileggere. La prima passata è velocissima, superdivertita e caricata dal carattere fantastico e totalmente irreale del soggetto, ma soprattutto dalla concisione, dalla chiarezza e dalla semplicità della scrittura di Vonnegut.
L’autore è vicino vicino, come ci dice Francesco Piccolo nei suoi «32 piccoli paragrafi su Kurt Vonnegut»: «La prima pagina del primo libro che hai letto di Vonnegut è indimenticabile per questo, perchè hai pensato: ma questo è un mio amico».
Servono una seconda e forse anche una terza lettura per arrivare al substrato, all’umorismo nero gettato a pioggia sugli Stati Uniti, occultato da una copertina colorata e invitante e al messaggio di pace e di fratellanza del nostro corrispondente nell’aldilà. Vonnegut è un umanista, come egli stesso dichiara nella sua breve introduzione al libro: «Gli umanisti, non avendo ricevuto informazioni attendibili su nessuna specie di Dio, si accontentano di servire meglio che possono l’unica astrazione con cui abbiano una certa familiarità: le loro comunità». Ed è per questo motivo che oltre a Hitler, Shakespeare e altri vip da strabuzzamento di occhi, l’autore inserisce numerosi altri piccoli personaggi: manifestanti indipendentisti, antischiavisti, avvocati e uomini comuni che si sono fatti, in vita, portatori di verità libertarie e di grande umanità.
Ultima, ma non meno importante, la verità di Jack Kevorkian, con i suoi 129 suicidi assistiti sul groppone e quell’unica eutanasia che gli è realmente costata una condanna di venticinque anni per omicidio di secondo grado da scontare nel carcere di Lakeland, nel Michigan.
Il titolo del libro è modellato su un altro libro di Vonnegut del 1965, Dio la benedica, Mr. Rosewater o Perle ai Porci. Non so perchè, ma rimedierò presto.
Intanto, a voi, buon viaggio.
«Ciao Ciao e adios. O, come mi disse san Pietro strizzandomi l’occhio, sornione, quando gli spiegai che quello era il mio ultimo viaggio di andata e ritorno in Paradiso: “Ci vediamo, bello”».
(Kurt Vonnegut, Dio la benedica, dottor Kevorkian, trad. di Vincenzo Mantovani, minimum fax, 2012, pp. 73, euro 7)
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