“Ognuno muore solo” di Hans Fallada

di / 3 ottobre 2012

Ognuno muore solo di Hans Fallada, ripubblicato da Sellerio qualche anno fa, è uno dei capolavori del Novecento. «Il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo», secondo Primo Levi. Mi permetto di non essere d’accordo. Non sulla qualità dell’opera, altissima, ma nel classificarlo all’interno della Resistenza. Già è difficile collocare nella Germania nazista una “lotta contro”, ancor di più se spogliamo di questa definizione l’intera lettura.

Quello di Hans Fallada è un lavoro che vuole raccontare la “sopravvivenza” in quegli anni. La vita ridotta a miseria, in una commedia tragica in cui si è stati, tutti, attori protagonisti. Ogni cosa è ridotta al ridicolo, al grottesco. La morte – elemento ridondante delle settecento pagine che compongono questo testo – non è mai eroica ma piccola, terrena, profondamente umana. O, meglio, ferina. La guerra contro tutto e tutti di un popolo impaurito crea un vortice inarrestabile che trova soltanto in alcune figure comunque destinate alla sconfitta (il musicista, Fromm, Eva Kluge) dei piccoli appigli su cui immaginare una via salvifica. Non basta neanche il baldo giovane che alla fine trova la sua “risposta” nell’incipit vita nova all’alba di una nuova epoca; il passato, simbolicamente raffigurato dal misero e vigliacco padre, ritorna sempre anche se “preso a calci”.

La lezione che possiamo imparare da Quangel – l’operaio, infaticabile lavoratore, risparmiatore che inizierà, insieme alla moglie, la sua “personale” battaglia contro il Führer (mulini a vento?) con la stesura di cartoline di “protesta” da lasciare in giro per la città – non è tanto di “tattica” (solo poche arriveranno a destinazione) ma di “classe”. È dal “basso” che deve partire la protesta, non dall’elite intellettuale impaurita di perdere la propria “posizione”, dai “lavoratori”, dalle persone oneste, da chi conosce il sudore e la fatica e il senso del dovere.

Ognuno muore solo è un ritratto “livido” di una pagina della nostra storia, così turpe da apparire persino “ironica”.
Ironica soprattutto se facciamo, o meglio se proviamo a fare, un’operazione complessa come quella di spogliare della Storia un libro sulla Storia.
Proviamo a leggerlo così, senza il retaggio “ombroso” che il nazismo ha inflitto ai nostri cuori. Riduciamo il tutto a una storia di qualcuno, in questo caso Quangel, che voglia lottare contro un sistema che non gli piace più. Prova a fare una cosa e gli riesce malissimo. Spreca il suo tempo, la sua tranquillità e il suo umore per un’operazione che lo conduce soltanto all’arresto.

Prendiamo gli altri personaggi. Uno a uno vanno a rappresentare la vera e propria commedia umana: “piccoli”, alcolizzati, furfantelli, codardi, perdigiorno.
Anche le morti sono “ironiche”, piccole. Da perfetti anti-eroi.

Hans Fallada sa come colpire nel segno, sa come trasformare una “semplice lettura” in una “toccante lettura”. Cancella stereotipi, elimina sicurezza, pianta germi che è impossibile non vedere germogliare.

Un libro scritto più di sessanta anni fa ma che non può non essere considerato “moderno”, in tutte le accezioni del vocabolo che conosciamo. È “moderno” e sono moderni lo stile, lo scoprire le carte con continui rimandi indietro e avanti, la forza immaginifica; è “moderno” e sono moderni il richiamo alla scena teatrale, al cinema, all’impasto letterario; è “moderno” e sono moderni l’espressionismo, il colore, l’alternarsi tra “chiasso” e “stasi”.

Siamo onesti, dobbiamo ringraziare gli americani che lo hanno riscoperto perché a volte bisogna essere richiamati all’ordine per apprezzare le cose migliori che abbiamo intorno.


(Hans Fallada, Ognuno muore solo, Sellerio)

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