“Lazarillo de Tormes”: primo romanzo picaresco
di Vito Catalano / 3 novembre 2012
Lazarillo de Tormes, pubblicato da un anonimo autore intorno alla metà del Cinquecento, è il primo romanzo picaresco nella storia della letteratura. Il quotidiano si lascia piacevolmente ridisegnare dall’immaginazione ed ecco che si apre la porta al romanzo moderno. Nel libro vengono narrate le avventure del giovane Lazarillo che passa da un padrone a un altro (un cieco da cui impara trucchi e inganni o un curato avarissimo, uno scudiero povero che non è disposto però a rinunciare alla sua idea di onore o un venditore di bolle pontificie pieno di astuzie e di trovate) fino a ottenere un impiego di banditore a Toledo e uno stabile benessere all’ombra della moglie che entra e esce, di giorno e di notte, dalla vicina casa dell’arciprete, il quale riempie di doni la coppia.
Un racconto diviso in episodi, e in ogni episodio l’incontro con un personaggio, gli aneddoti, tutto viene sapientemente dipinto con abili pennellate. I personaggi che di volta in volta incontra Lazarillo sono ritratti con brevità perfetta: lo scudiero che per mantenere il suo onore e la sua dignità è disposto a vivere da povero e a saltare i pasti ma non a sciupare il suo abito e per far vedere di aver mangiato si siede davanti all’uscio di casa, nei momenti che seguono abitualmente l’ora del pasto, con un filo di paglia in bocca come stuzzicadenti; o il curato spilorcio che quando deve riparare la madia strappa i chiodi infissi nelle pareti della casa o quando deve catturare i topi si fa prestare la trappola e le croste di formaggio dai vicini.
Vittorio Bodini, traduttore della edizione einaudiana, sottolineò che «questa odissea degli infimi strati della società spagnola affascinò i lettori con la cruda allegria del suo racconto e il successo incoraggiò continuazioni e imitazioni dell’opera». E Pier Paolo Pasolini, che si occupò del breve romanzo in un testo poi raccolto in Descrizioni di descrizioni, in poche parole fece una precisa analisi del libro: «Che cosa preme dimostrare a Lazarillo? Qual è la sua tesi? È semplice: bisogna molto lottare per non morire di fame. Tutto lì. Nel suo racconto non c’è altro». E più avanti: «A questa monotonia animale del pasto, corrisponde però un’esperienza della vita che non ha proporzioni con essa: si tratta infatti di una esperienza irreligiosa, e dunque enormemente vasta».
Un raffinato ispanista siciliano morto nel febbraio del 2009, Giacinto Lentini, neLa formazione della monarchia spagnola(un saggio storico attento e di piacevole lettura attraversato da riferimenti alla letteratura spagnola e da riflessioni sul cuore umano), scrisse: «L’amarezza, d’altronde, questo stato d’animo veramente spagnolo, è uno dei motivi sempre presenti in quel periodo». Ecco, il breve romanzoLazarillo de Tormescoinvolge, diverte, suggestiona, ma dietro il divertimento si nasconde l’amarezza. L’amarezza di un popolo e l’amarezza di un’epoca in cui si confondono lusso e povertà, miserie umane e nobili sentimenti, ipocrisia, vizi e inganni. InLazarillo de Tormesvengono descritti i guasti della società spagnola, già all’inizio dello sfacelo, che continua ancora a ostentare festosità e fastosità. Insomma, viene anche raccontato un tempo nel quale possiamo ritrovare riflessi del nostro oggi.
Vito Catalano è nato a Palermo nel 1979 e vive fra la Polonia e la Sicilia; è nipote di Leonardo Sciascia. È autore di due libri: L’orma del lupo (Avagliano 2010) e Il vicerè giustiziere (Salvatore Sciascia editore, 2011)
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