“Storia del nuovo cognome” di Elena Ferrante
di Francesca D’Ambrosio / 21 novembre 2012
Storia del nuovo cognome è il secondo romanzo di Elena Ferrante, che segue a un anno di distanza l’Amica geniale. Non si conosce ancora il numero esatto dei volumi che comporrà la serie, ma sappiamo che ciascuno affronterà un periodo di vita delle protagoniste: dall’infanzia, alla giovinezza, fino alla loro maturità. Ritroviamo dunque Elena e Lila che, lasciate poco più che bambine, vedremo velocemente crescere, ognuna tracciando la propria strada agli antipodi dell’altra: Lila, divenuta ormai l’agiata “signora Carracci”, viene ben presto odiata e invidiata da tutto il rione che non le perdona la sfrontatezza nei modi, la tenacia di non arrendersi al cliché della donna asservita al maschio dominante e l’intelligenza di trattarlo da pari; Elena invece, più dolce e riflessiva, capace di farsi amare da tutti per predisposizione naturale, continuerà a sgobbare sui libri nella speranza un giorno di volare via da tutto il degrado della suburra napoletana. È lei la voce narrante della storia, eppure (o forse proprio per questo) le pagine si concentrano quasi ossessivamente sull’amica: Lila che si sposa, Lila che odia il marito, che osa tradirlo. Lila che si innamora di un altro, che diventa madre di un figlio bastardo. Lila che non ha più un soldo, che perde tutto, ma poi, come sempre, ricomincia. A conti fatti insomma, Storia del nuovo cognome sembra anzitutto la storia del matrimonio infelice di Lila: «Mi raccontò che aveva cominciato a vedere in quella formula un complemento di moto a luogo come se Cerullo in Carracci fosse una specie di Cerullo va in Carracci, vi precipita, ne è assorbita, vi si dissolve». Il suo acuto spirito d’indagine spinge sempre Lila oltre il senso comune delle cose, permettendole di intuire a priori nessi nascosti per poi volgerli a suo vantaggio. Ed Elena rimane lì, a guardare, ammirata, l’esistenza perfetta della sua amica, specchiandovisi dentro per sfuggire al confronto. Vive delle sue avventure, soffre e gioisce con lei, se ne preoccupa ogni qual volta la sente in pericolo, dolcemente. Fino a quando Lila si innamora di Nino, del suo Nino e glielo porta via, ignara di tutto: «Capii all’improvviso perché non avevo avuto Nino, perché lo aveva avuto Lila. Non ero capace di affidarmi a sentimenti veri. Non sapevo farmi trascinare oltre i limiti. Restavo indietro, in attesa. Lei invece si prendeva le cose, le voleva davvero, se ne appassionava, giocava al tutto o niente, e non temeva il disprezzo, lo scherno, gli sputi, le mazzate». A questo punto per Elena il distacco appare inevitabile per uscire da quel bozzolo d’ombra e diventare finalmente persona. E una borsa di studio per la Normale di Pisa segnerà la svolta: partire, lasciare finalmente Napoli e i suoi fardelli, reinventare una nuova sé. Solo a questo punto, e siamo quasi alla fine, comincia il romanzo di Elena: le dinamiche del mondo universitario, la fatica per scrollarsi di dosso il retaggio delle sue origini napoletane, i fervori politici degli studenti, i nuovi incontri… Ma il capitolo pisano viene liquidato, tutto sommato, nel giro di poco. Quasi come che tutte le Elene in questione (il personaggio, la narratrice e, forse, l’autrice) vogliano farci credere che sia Lila la più importante tra le due. Se non fosse che alle volte si può dedurre molto anche per sottrazione, per non detti…
Lila, in effetti, è solo percepita come vincente: tra lei e il lettore ci sono gli occhi di Elena a fare da filtro e ciò impedisce di cogliere pienamente tutte le fragilità del personaggio, le sue ansie, i suoi rimpianti; primo fra tutti quello di aver abbandonato la scuola per volontà paterna, cosa che di fatto, le impedirà di coltivare il suo genio, isolandola per sempre nella miseria del rione. Tutti gli studi a cui si dedicherà in seguito (dalle letture teatrali fino all’informatica) saranno condotti per “non restare indietro” rispetto all’amica, per non sembrare da meno. Dunque non è solo Elena ad aver bisogno di Lila, non è solo lei a considerarla “un’entità che ha la capacità di saldarle il mondo intorno, con i colori della fiamma ossidrica”.
Fanno tenerezza entrambe. Sembrano persone vere. Quando smetti di leggere ti continuano a gironzolare nella testa, per giorni. E le vedi, insieme a tutti gli altri personaggi: i mariti gelosi, le madri sciupate, i camorristi prepotenti. E ancora, i compagni di una volta, cresciuti e pronti a rimpiazzare i vecchi padri, ad emergere dal fango per conquistarsi, finalmente, un posto al sole. Là, nella miseria nera, dove le stelle e la notte, lungi dal mostrare la loro architettura sono solo «cocci di vetro a vanvera dentro un bitume blu».
(Elena Ferrante, Storia del nuovo cognome, Edizioni e/o, 2012, pp. 480, 19.50 euro).
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