“Sofia si veste sempre di nero” di Paolo Cognetti
di Dario De Cristofaro / 23 novembre 2012
I dieci racconti/capitoli che compongono Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti sono tessere sparse di un mosaico che l’autore deliberatamente lascia fra le mani del lettore, affinché possa ricostruire egli stesso la storia di Sofia e di chi la circonda.
«Sull’incubatrice della bambina c’era un cartello con un nome: Sofia Muratori. Il padre veniva a vederla parecchie volte al giorno. Esausto, smarrito, faceva avanti e indietro dalla moglie alla figlia chiedendosi quale delle due fosse colpevole del male dell’altra».
La trama che viene fuori dal mosaico, una volta ricostruito, è chiara: Cognetti racconta, con la consueta fluidità narrativa che lo contraddistingue, la vita – per la precisione dalla nascita, verso la fine degli anni ’70, ai trent’anni circa – di Sofia Muratori, ragazza cupa e irrequieta, e delle persone che attorno a lei ruotano. Una madre depressa, un padre insofferente, una zia anticonformista, due coinquiline quasi fraterne e vari ragazzi con cui Sofia divide la vita e il letto fin quando, delusa, non li abbandona.
«Quella sera Rossana e Roberto ricominciano a litigare. […] Sofia li sente gridare parole mai pronunciate prima. […] Poco dopo, inginocchiata accanto al letto, si interrompe a metà di un Padre Nostro. Le sembra di aver sbagliato qualcosa. Ha detto debitori o genitori? Le loro grida si sentono fin quassù, e lei ripete questa nuova versione per sentire come suona. Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri genitori».
Ogni personaggio di ogni singolo racconto porta dunque con sé una particella di Sofia. Una particella traducibile in un ricordo, in un momento ben preciso della vita passato assieme a lei. Sofia si lascia raccontare, la vediamo mentre scivola via tra le persone, ben delineata ma sempre sfuggente e, soprattutto, incomprensibile. L’autore riesce così a frammentare l’esistenza nel tentativo di creare una sorta di romanzo corale diviso in tasselli.
«Mi raccontò di essere cresciuta in una stanza con due letti, perché al momento di comprare i mobili i suoi genitori progettavano un secondo figlio, ma poi il figlio non era arrivato e il letto invece era rimasto. Lei si era abituata a convivere con questo fratello fantasma, sua madre no […]».
Sofia si veste sempre di nero è, dunque, un esperimento interessante, ma che presuppone dei rischi. Come, per esempio, quello di sembrare eccessivamente artificioso nel frantumare e rimodellare la struttura narrativa: la sensazione che si ha, pagina dopo pagina, è che l’autore si sia sforzato di arrivare al romanzo attraverso ciò che sa fare meglio: scrivere racconti. Così facendo ha smarrito sia la libertà delle storie brevi sia l’omogeneità del romanzo stesso.
Un aspetto questo che comunque non compromette più di tanto la qualità finale del libro, che merita, in ogni caso, di essere letto: i personaggi sono ben descritti, ben visibili, viene naturale ascoltare le loro storie; alcuni capitoli – meraviglioso il penultimo racconto “Le cose da salvare”, che a tratti ricorda per delicatezza Harold Brodkey – sembrano davvero «cesellati» con l’accuratezza del buon artigiano, attraverso una scrittura lineare, capace di sorprendere per pulizia ed esattezza.
(Paolo Cognetti, Sofia si veste sempre di nero, minimum fax, 2012, pp. 203, euro 14)
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