[Oscar 2013] “The Master” di Paul Thomas Anderson

di / 4 febbraio 2013

Ci si aspettava un’accoglienza diversa da parte dell’Academy per The Master di Paul Thomas Anderson. Le nomination come miglior film, o per la regia, la fotografia, la colonna sonora, erano nell’aria ma non sono arrivate. Il film ha ricevuto solo le candidature per i tre protagonisti e le possibilità di vittoria non sembrano essere molte.

California, 1949. Freddie Quell (Joaquin Phoenix) è un reduce di guerra instabile e ossessionato dal sesso. Eredita dal padre una distruttiva dipendenza dall’alcool che non solo lo porta a non avere controllo sulle sue reazioni fisiche ed emotive, ma lo induce anche a confezionare misteriosi intrugli alcolici potenzialmente velenosi che testa su se stesso e sugli altri. Il suo destino è segnato, ma l’incontro con il carismatico leader del movimento laCausa, Lancaster Dodd (Philippe Seymour Hoffman) sembra cambiare, almeno inizialmente, la sua sorte. Hoffman interpreta un uomo affascinante e colto, avvolto da un’ aura di misticismo che trasmette istintivamente a tutti i suoi seguaci. Questi hanno fatto di lui un semidio, un angelo traghettatore tra le loro “vite passate” (così vengono chiamate le esperienze di trance indotte dalle tecniche di ipnosi praticate nelle sedute di Dodd) e la dura realtà. La Causa però non è solo la sua missione, ma anche quella di tutta la famiglia che, come nella migliore tradizione americana, viene coinvolta e in certi casi persino investita (la figura del figlio di Dodd è emblematica in questo senso) dalla potenza del movimento. Nasce così un’ amicizia “terapeutica” tra i due. Freddie segue Dodd e i suoi nei lunghi viaggi per la diffusione del loro credo, mentre Dodd riceve in cambio un servo devoto e un amico sincero, capace di metterlo a contatto con la sua parte più oscura. La moglie di Dodd, una bravissima Amy Adams, tenta la strada del catalizzatore, si offre da filtro, ma il loro animo inquieto non trova comunque la pace, nella consapevolezza che non c’è via d’uscita da ciò che li attanaglia. Freddie, nonostante le sedute massacranti a cui si sottopone, non riesce a sfuggire al suo demone interiore che come un Hyde esce fuori di colpo con tutta la mostruosità che Phoenix è innatamente abile a incarnare. Dodd, dal canto suo,  si è auto-somministrato una cura giornaliera di tracotanza che a piccole dosi lo ha reso sensibile a ogni critica e obiezione, persino da parte dei suoi seguaci più fedeli. Per certi versi ricorda il Kurtz di Coppola che, rifiutando l’anti-etica americana finisce in seguito per trasformarsi da ribelle in male militare, in hybris.

I due volti del dolore, remissività e aggressività, si fondono nelle personalità dei due uomini che Anderson ci mostra come insieme compenetrante. Ed è proprio questo equilibrio di ruoli a fruttare al mistico e al marinaio il meritatissimo ex aequo per la Coppa Volpi a Venezia. perché non esiste, davvero, un unico protagonista in questo dramma profondo, viscerale. The Master è un continuo gioco di fuochi che si percepisce sia fisicamente, nella splendida fotografia di Mihai Malaimare Jr., che nelle musiche dell’ormai cavallo affidabile Jonny Greenwood. Il chitarrista dei Radiohead ha un’intesa particolare con P.T. Anderson (con cui aveva già lavorato ne Il petroliere) e produce una colonna sonora capace di dare un senso al tempo senza preponderare arrogantemente.
Il tempo, questo si che è una nodo importante nel film di Anderson, intento a mostrare una California post-guerra perfetta, certosina, tanto che non sembra un azzardo guardare a questi grandi spazi americani, alle gite in barca e persino ai pranzi della famiglia Dodd come parte di uno stile molto vicino alla meticolosità rosselliniana. Tutto questo lavoro però, riesce a non pesare allo sguardo dello spettatore, colto com’è dall’emozione dei protagonisti.
Paul Thomas Anderson è un uomo e un regista di vero cuore, come il cuore puro vede e narra il dolore così come si presenta, rendendo semplice la più complessa delle relazioni.

(The Master, di Paul Thomas Anderson, 2012, drammatico, 137’)

 

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