“Il secondo bene” di Flavio Ermini
di Fabrizio Miliucci / 6 febbraio 2013
Le strade dell’editoria sanno ancora percorrere vie impervie per raggiungere un gruppo cosciente di lettori d’altopiano, in barba alle carovane di pianura che adattano allo spettacolo masse di lettori-che-(si)-consumano inconsapevolmente.
Ancora prima che il contenuto, di questo Il secondo bene di Flavio Ermini (Moretti e Vitali, 2012), saggio sul compito terreno dei mortali, ci piace sottolineare l’identità editoriale. Ventiseiesima uscita della collana Narrazioni della coscienzadiretta dallo stesso Ermini, questo saggio chiaro e sibillino ci appare come una scrittura preziosa, ideata per chi ha la volontà di scovarne i plurisensi accompagnando la lettura del ricordo alla lettura delle pagine.
Dalla nascita alla scomparsa Ermini ci accompagna in una ricostruzione-analisi delle vicende umane, orientate al nulla esistenziale, «al segno negativo cui la realtà soggiace, che si perpetua nel ventre generante di cui non si ha memoria», leggiamo nella descrizione del penultimo capitolo, e segue, dopo una pausa che ha poco di teatrale e molto della constatazione lucida di un ragionamento asettico, «poi lo sguardo si abitua alla notte»
Il linguaggio di questo saggio che, con gli occhi piccoli della tradizione novecentesca, peggio se accademica, si fa fatica a definire per l’appunto saggio, si divide tra l’apostrofo enigmatico delle scritture meditative, in mimesi con quelle sacre, e la calma equilibrata sintassi di una dimostrazione naturalistica. Ne scaturisce una prosa interessantissima, stupefacente per malizia e maestria, capace di non scoprire mai le proprie zone d’ombra e di non cedere al gesto spazientito o al facile lirismo. Insomma, Ermini è scrittore radicale, ben consapevole della sua azione comunicativa, e poco o affatto incline ad assecondare il lettore.
Nel percorso che propone Il secondo bene, lungo le significazioni di tutta l’esistenza fino alla piena inverazione del secondo bene, in cui la vita umana scioglie se stessa nell’incontro con la sorella del sonno, ci si trova sospinti in una mostra dal sapore bizantineggiante, a due dimensioni, in cui le icone linguistiche, le ripetizioni, le frequenti divisioni e le riprese hanno il secondo fine di una descrittività allusiva, altra e poi altra in senso ascensionale. Ma trovandoci di fronte un saggio, scrupoloso seppure sui generis, il discorso riceve conferme da citazioni dei maggiori poeti e pensatori della tradizione.
Come dichiara Franco Rella nella postfazione al volume, intitolata «Elogio dell’ombra», Ermini non afferma soltanto che dare figura alla morte è dare figura a se stessi, o che il proprio dell’uomo, vale a dire del mortale, è la morte. Afferma che la morte è un compito. Un doppio movimento ci porta verso la dissipazione e verso noi stessi. Verso la morte e verso il nostro io. E questo movimento è compito e destino.
(Flavio Ermini, Il secondo bene. Saggio sul compito terreno dei mortali, Moretti e Vitali, 2012, pp. 207, euro 18)
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