[BioSong] “Losing My Religion” dei R.E.M.
di Simone Schezzini / 7 febbraio 2013
In campo musicale il 1991 è un anno di grandi canzoni. Nel volgere di pochi mesi, infatti, come per magia, un salvifico risveglio dal torpore elettro-pop degli anni Ottanta ci conduce verso alcuni brani rock che ormai, a distanza di un ventennio, possiamo indubbiamente affermare essere dei classici: “Losing My Religion” (Rem), “Jeremy” (Pearl Jam), “Nothing Else Matters” (Metallica), “Smells Like Ten Spirit” (Nirvana), “November Rain” e “Don’t Cry” (Guns N’ Roses), “Under The Bridge” (Red Hot Chilly Peppers), “One” (U2).
Di tutte le canzoni appena citate, quella che meglio rappresenta l’inizio degli anni Novanta è probabilmente “Losing My Religion” dei R.E.M. Fra il 1991 e il 1992 è impossibile non sentirla almeno una volta al giorno alla radio, senza dimenticare lo strepitoso successo del video che per mesi e mesi imperversa su MTV incantando con le sue immagine suggestive milioni di persone. Come afferma il bassista Mike Mills del resto, «ci sono stati pochi eventi epocali nella nostra carriera, perché è avanzata così gradualmente. Se proprio bisogna parlare di un cambiamento storico, credo che la cosa che ci si avvicina di più sia “Losing My Religion” poiché senza questa canzone l’album Out of Time avrebbe venduto due o tre milioni di copie rispetto ai circa dieci che ha venduto in realtà». “Losing My Religion” ha trasformato una rock band famosa, ma pur sempre di culto, in un fenomeno planetario. Fra la fine degli anni Ottanta e l’uscita di Out of Time i Rem sono in effetti in mezzo al guado: ormai troppo commerciali per i vecchi fan del circuito dell’alternative rock dei college americani non riescono tuttavia ancora a sfondare nel mainstream. Dopo “Losing My Religion”, invece, niente sarà più come prima per il gruppo di Athens, che dovrà persino giustificarsi per il successo ottenuto (in un’intervista pubblicata su Mucchio Selvaggio a. 2, n. 95, p. 28, si chiede al gruppo se provi una forma di imbarazzo per il successo commerciale ottenuto negli ultimi anni).
«La canzone è stata scritta al mandolino», afferma il chitarrista Peter Buck, «so che arriva al cuore e mi piace suonarla ma quando la eseguiamo sembra solo una grande hit che ti dà la carica. Non sono sicuro di aver provato le stesse sensazioni quando l’ho scritta o quando ho sentito il testo di Michael (si riferisce a Michael Stipe, cantante e autore dei testi dei Rem, ndr) ma è una delle preferite del pubblico e ti dà sempre parecchia carica».
Il titolo, frainteso per anni, così come gran parte del testo (certo il video carico di immagini pseudo religiose non aiuta a chiarirsi le idee) si riferisce ad una espressione idiomatica degli Stati Uniti del Sud che significa letteralmente “perdere la pazienza, non farcela più” e si tratta, sempre secondo le parole del chitarrista, di una classica canzone ossessiva, di un amore irrequieto. Niente a che vedere quindi con «una canzone centrata sul tramonto dei grandi ideali», come ancora nel 1995 scrive il critico musicale del Corriere della Sera Luzzato Fegiz (Corriere, 21/2/1995). Lo stesso Stipe ha rivelato più volte che si tratta di una canzone su di un amore tormentato e che l’ispirazione viene da “Every Breath You Take”dei Police (altra canzone su un amore difficile). E che il tema sia l’amore, sebbene nel classico stile R.E.M. non compaia mai nel testo la parola “love”, pare chiaro dalle seguenti strofe: «That’s me in the corner. / That’s me in the spotlight / losing my religion / trying to keep up with you / and I know if I can do it»(«Eccomi nell’angolo. /Eccomi sotto i riflettori/ che sto per perdere il controllo / cercando di tenere il tuo passo / e non so se ce la faccio»). E ancora, man mano che il testo scorre, il protagonista appare sempre più stanco, alle corde, ormai privo di forza per reagire: «Every whisper of every waking hour / I’m choosing my confessions / trying to keep an eye on you / Like a hurt lost and blinded fool / oh no I’ve said too much».(«Ogni sussurro di ogni ora del giorno / scelgo le mie confessioni / cercando di tenerti d’occhio / come un idiota ferito, smarrito e accecato / oh no ho detto troppo»).
I medesimi versi hanno inoltre fatto a lungo discutere riguardo la presunta natura autobiografica della canzone, in particolare : «That’s me in the corner. / That’s me in the spotlight». Secondo Tony Fletcher e Gianni Sibilla, autori di una ottima biografia del gruppo (R.E.M. Vecchie storie, nuove avventure) pare, infatti, che lo stesso Stipe all’inizio fosse intenzionato a scrivere “Quello sono io in cucina” per evitare la percezione della rockstar alle prese con i propri dolori. Come afferma David Buckley in Fiction. Una storia vera, fatto strano per una band che non ama i video, sarà invece proprio quest’ultimo a completare l’opera rendendo il singolo un successo così notevole. Si tratta del primo videoclip in assoluto in cui il gruppo utilizza il playback. Protagonista assoluto è Stipe (l’unico dei quattro che ama questo genere di performance) mentre gli altri tre R.E.M. fanno fugaci apparizioni sullo sfondo lasciando il frontmanlibero di esprimersi in primo piano sul modello di “Nothing Compares to You”di Sinead O’ Connor uscito l’anno precedente e di “Once in a Liftime” edei Talking Heads del 1981. Girato dal regista indiano Tarsem in una stanza vuota con una finestra che dà sull’aperta campagna, grazie alle sue immagini celestiali, ai rimandi di Caravaggio e al cinema russo sperimentalista di Tarkovskij, così come alla leggenda di Icaro, ma più in generale grazie alla notevole qualità dell’opera intera, il video vincerà ben sei Music Awards fra cui il premio come miglior video dell’anno. Questi riconoscimenti non impediranno tuttavia la censura in un cattolicissimo paese come l’Irlanda a causa di alcune immagini simili alla crocifissione e di altre ritenute omofile fra cui, su tutte, spicca quella di un giovane a petto nudo con le labbra col rossetto legato ad un albero. Nonostante “Losing My Religion” sia il pezzo che probabilmente molti fan dei R.E.M. sceglierebbero come il loro preferito dell’album Out of Time se non addirittura dell’intera opera del gruppo, questa non sarebbe probabilmente la prima scelta né dei fan più accaniti e di lunga data né degli stessi membri della band. Ed è vero. I R.E.M. infatti sia negli anni Ottanta che Novanta hanno scritto canzoni migliori di “Losing My Religion” ma certo è che non hanno mai raggiunto il medesimo successo commerciale.
(“Losing My Religion”, R.E.M., Out of Time, Warner Bros, 1991)
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