“World Music” dei Goat
di Alessio Belli / 18 febbraio 2013
Chi ama la musica, ogni tanto, lascia i soliti posti e contesti. Abbandona i luoghi abitudinari e si lascia condurre da nuove note in terre misconosciute. La band in questione permette questo viaggio, portandoci in territori liberi, un po’ folli e privi di qualsiasi laccio convenzionale. In precedenza abbiamo visitato la solare Australia dei Tame Impala, ora viriamo verso il glaciale e oscuro Nord Europa. Siamo in Svezia e parliamo di World Music dei Goat.
Ora, non andate su Google a inserire il loro nome: fatica sprecata. Troverete solo immagini di capre e altri simili della famiglia degli ovini. Andando su Wikipedia la situazione non migliora: nella versione inglese, leggerete solo due striminzite righe in cui non vengono citati nemmeno i membri del gruppo. Lo accenniamo, non per mortificare il vostro approfondimento, ma perché al primo impatto i Goat appaiono come un gruppo molto particolare, ai limiti del bizzarro, pieno di ironia. Le poche immagini fruibili raffigurano tre persone – due uomini e una donna – dal volto coperto da maschere inquietanti. Abiti tribali, ambientazioni stregonesche. Sicuramente, gran parte del look è dovuto al loro habitat. Nativi del Korpolombolo, hanno assimilato iconograficamente le leggende e i miti del paese: si narra infatti che il luogo sia da secoli avvezzo a rituali voodoo e celebrazioni nere. Un impatto estremo, perfettamente nello stile Goat, che nelle interviste non disdegnano la possibilità di essere una rincarnazione degli ABBA.
Superato il misterioso aspetto, focalizziamoci sul disco, perché come dicevamo all’inizio, è la musica che ci permettere di viaggiare verso lande oscure e ammalianti. In World Music i tre svedesi concentrano con originalità e mirabile bravura svariate atmosfere e influenze: rock tribale, psichedelia, hard core. In poco tempo World Music – dalla copertina iperipnotica – è salito alla ribalta come uno dei dischi più importanti dell’ultimo periodo. E per garantire tale risultato non basta l’apparenza, ci vuole la sostanza. E qui ne abbiamo molta.
È impossibile rimanere indifferenti a questo sound, che canzone dopo canzone, entra in circolo, tramutando l’ascoltatore in una vittima inerme di un rituale musicale. Sarà la batteria martellante e inarrestabile, saranno le chitarre acide piene di furore e noise? Saranno i femminili ritornelli urlati come un mantra? Possibile. Il dato di fatto è che i brani di World Music non si possono dimenticare una volta ascoltati. Ed è bellissimo subire il loro effetto senza sapere bene il perché, costantemente attratti dal sottofondo tribale delle percussioni. Nove brani grezzi e pieni di energia, tra cui spicca il singolo “Goathead” – molti nomi dei brani sono declinazioni del termine –goat – e la coda finale “Det Som Aldrig Forandras Diarabi” dove anche l’organo fa la sua parte in maniera eccezionale.
Fare una selezione di canzoni da segnalare come le più significative in World Music è un atto svilente. Durando poco più di mezz’ora, il disco – vista la sorprendente bellezza – va ascoltato dall’inizio alla fine. Solo così si inizia a capire quale magico e irresistibile mistero si celi dietro la musica della band che ha nome Goat.
(Goat, World Music, Rocket, 2012)
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