“Sinister” di Scott Derrickson
di Alessio Belli / 18 marzo 2013
L’America è l’ambiguo crocevia del cinema horror. Non ha allevato nessuna nuova scuola registica, come nel caso della Francia e della Spagna, e si è anche permessa di congedare in maniera poco garbata i Maestri e le loro opere capitali, dandole in pasto ai reboot. Poi abbiamo i sequel. Inutili e irritanti, macchiano la bellezza dei predecessori (come lo scabroso Hostel III). Aggiungete inoltre i soliti commerciali remake (il recente Non Aprite Quella Porta, per citare il primo di una lunga lista che invaderà a breve le sale). Tra queste sabbie mobili, riescono a uscire opere indipendenti, originali e davvero sconcertanti (May, Gut, Lovely Molly, Chained, Le Colline Sanguinano), e film che non inventano nulla di nuovo, ma svolgono il loro dovere alla perfezione. Ovvero: spaventarti fino al midollo. Sinister appartiene a quest’ultima categoria. Mai titolo fu più azzeccato. E lo si capisce dalla prima terribile scena. Un’inquadratura sgranata, un amatoriale filmato in super8. Quattro persone incappucciate e impiccate a un albero. Una colonna sonora straniante. A essere trucidata sull’albero è la famiglia Stevenson. Ma c’è di peggio: all’appello manca la figlia più piccola, scomparsa dopo la strage.
Sul drammatico fatto di cronaca indaga Ellison Oswalt, scrittore ormai caduto nel dimenticatoio, sempre nella spasmodica ricerca della storia giusta per un nuovo best seller. Ma stavolta Oswalt esagera. Supera la linea d’ombra. Tenendo all’oscuro la famiglia, fa trasferire tutti nella casa della famiglia Stevenson. Spera di trovare l’ispirazione e l’influsso giusto per la nuova opera. Ma gli avvenimenti prenderanno un diabolica tangente, e un incubo senza pietà s’abbatterà sullo scrittore e i suoi cari. Si, perché lo scrittore trova in soffitta i filmini amatoriali dei precedenti inquilini. Non ci pensa due volte a profanare i ricordi delle vittime, e ossessionato dall’inchiesta, si chiude in studio per visionarli. Giorno e notte, fino a logorarsi. Tramite le pellicole l’incubo prende forma: li è immortalato sia l’omicidio degli Stevenson – è l’assassino che filma? – sia altri quattro omicidi, dilazionati nel tempo fino ad arrivare agli anni Sessanta. Unico tratto in comune: la presenza nei video di un sinistro essere dal volto mascherato e mostruoso. Assomiglia molto al Mr. Boogie che la figlia di Ellison inizia a disegnare sui muri di casa.
Da questo momento lo spettatore deve assicurare il ritmo cardiaco. Nonostante Sinister parta da luoghi tipici dell’horror – la strage, la scomparsa di una vittima, la casa infestata, la soffitta, le premonizioni dei bambini, l’inquietante Uomo Nero – qui siamo al cospetto di un opera capace di stagliarsi notevolmente rispetto agli altri prodotti del genere, ponendosi come vertice di riferimento. I meriti sono lampanti. Il cast, capitanato da un convincente Ethan Hawke alias Ellison Oswalt, è impeccabile. Da menzionare il cameo del grande Vincent D’Onofrio, che anticipa l’agghiacciante performance di Chained. La regia di Scott Derrickson, dopo il fortunato legal-horror L’Esorcismo di Emily Rose, offre momenti di terrore puro. L’ambientazione e le atmosfere sono davvero indelebili: la summa di Sinister è nei malati super8 degli omicidi, tutti in soggettiva, dove l’entità del Male prenderà tratti sempre più sanguinari e demoniaci.
Essendo un horror pieno di colpi di scena, meglio non svelare troppo, ma state tranquilli: Sinister svolge egregiamente il suo dovere. Lo dimostrano le critiche fin troppo buone per un film di genere, i botteghini sbancati e gli incalcolabili spaventi subiti anche dagli spettatori più navigati. Buona visione e attenti a Bughuul…
(Sinister, di Scott Derrickson, 2012, Horror, 110’)
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