“Le streghe di Salem” di Rob Zombie

di / 26 aprile 2013

«Nomen omen» asserivano i latini. Tale espressione trova pieno complemento nel regista di Le streghe di Salem, Robert Bartleth Cummings, alias Rob Zombie. Un nome del genere lascia poco spazio all’immaginazione. E come se non bastasse, anche l’aspetto aggiunge ulteriori tinte al personaggio. Zombie inizialmente lega il suo nome al metal: ex leader dei White Zombie e ora solista, ha sfornato dischi di successo. Di recente in Italia ha aperto il live di Marylin Manson. Per capire i riferimenti musicali e il bacino di immagini a cui attinge, basta vedere i famosi videoclip: una sorta di antipasto della produzione cinematografica. Dell’orrore, ovvio. Nel 2003, infatti, Rob Zombie svecchia e rivitalizza l’horror americano con l’ormai epico La Casa dei 1000 Corpi: uno sconcertante e malato accorpamento di violenza e devianza, dove gli insegnamenti dei Maestri (Argento, Hopper, Carpenter, Peckinpah su tutti) e i topoi del genere vengono assunti e reimpostati secondo il suo stile. Questa è la prima cosa da dire: Rob Zombie è un autore dallo stile unico e riconoscibile. Non un mestierante commerciale di generi, e nemmeno uno sfruttatore di mezzi artistici.  E’ un outsider, fuori dai generi e dall’industria, privo di fronzoli e vezzi convenzionali. Ama, si nutre e vive dell’horror e i suoi film sono il personale atto d’amore al genere. Spesso si lascia prendere la mano, ma la genuinità è lampante. Ora, con Le streghe di Salem, la sua ultima opera, s’appresta a divorare l’ennesimo caposaldo dell’orrore: le streghe. E quale luogo migliore per farlo, se non la celeberrima e dannata Salem?

Antefatto storico: Salem, New England, 1692. Si compie la più sanguinaria caccia alle streghe della storia. Processi, torture ed esecuzioni scaturiranno in un massacro capace di lasciare profondi segni nella cultura americana. Qui è ambientata la storia di Heidi, sbandata conduttrice radiofonica di musica death, incarnata dal chiodo fisso del regista: la moglie e musa Sheri Moon. Non passa un bel periodo Heidi, e una sera la segretaria della radio le lascia un misterioso dono: una scatola di legno con all’interno un vinile. Gli autori? I Lords (ovvero i Lords of Salem del titolo originale). Basta mettere la puntina sul disco e una terribile canzone genera allucinanti visioni maligne che sconvolgono sia la dj, sia le ascoltatrici femminili di Salem. Ecco, proprio le visioni sono il punto cruciale. Si, perché la prima parte di Le streghe di Salem è quanto di più lontano ci si possa immaginare dalla mano di Zombie. La atmosfere da Circo dell’Orrore e la fotografia ipercolorata e satura, lasciano spazio a una Salem notturna, fosca e sgranata. Alla penombra, a giochi di chiaroscuro.

Il ritmo è lento, scandito in giornate: nessun vortice gorehardcore a stravolgere. Zombie stavolta non intende calcare la mano su spaventi improvvisi e splatter: vuole infondere un’ansia inquietante e strisciante. E in parte ci riesce. Anche i personaggi sono privi delle caratterizzazioni caricaturali e grottesche delle precedenti pellicole: ricordate Capitan Spaulding dei primi due film e il Jason di Halloween II ? Niente di più lontano. Poi però, senza svelare troppo, il Maligno arriverà su Heidi, e da lì le Streghe inizieranno a scatenarsi. E con loro la visionarietà onirica e abbagliante del regista. Più si procede e più l’autore americano propone delle sequenze iconoclaste, blasfeme e inquietanti, supportate da una devastante colonna sonora in cui si mischiano Mozart e Velvet Underground. Una miscela tra Jodorowsky e il Kubrick di Shining e Eyes Wide Shut. Un viaggio diabolico che spiazza e avvolge. Sono momenti notevoli, ma il regista anche stavolta si fa prendere la mano: Le streghe di Salem poteva essere un capolavoro, e invece non soddisfa pienamente.

L’inizio solido della sceneggiatura fa prospettare il meglio, ma più si va avanti e più ci si accorge che Zombie vuole solo appagare i nostri occhi con scene e immagini difficili da dimenticare: il suo obiettivo è mostrare il lato satanico di ogni icona cristiana e divina, mettendo tutto il resto in secondo piano. Gli va dato comunque atto di aver fatto un horror – nel suo caso, l’ennesimo – fuori dagli schemi, originale e personale, lontano dagli stereotipi commerciali dall’industria americana. Come il finale aperto dimostra. Le streghe di Salem dividerà fan e spettatori, come dimostrano le proiezioni in anteprima. Ma ai giorni nostri un tale viaggio nell’Orrore solo il suo cinema può permetterselo.

 

(Le streghe di Salem, regia di Rob Zombie, 2012, horror, 101’)

 

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