“Decadendo” insieme ai KuTso
di Alessio Belli / 13 maggio 2013
Decadendo (su un materasso sporco), ovvero l’esordio discografico dei KuTso. Già celebri per le performance live, la band dei Castelli Romani finalmente imprime su disco tutta la verve e la grinta che li contraddistingue. Facciamo allora quattro chiacchiere con Matteo Gabbianelli, il cantante dei KuTso (mi raccomando la pronuncia), parlando sia del bellissimo disco, sia di tanti altri argomenti attuali e interessanti. Buona lettura e buona decadenza…
Partiamo dai convenevoli, dal vostro nome: come lo avete scelto e che cosa significa?
KuTso va letto “cazzo”. È il modo in cui scrivevo le parolacce sui banchi ai tempi del liceo. Ci piace avere un nome impronunciabile che imbarazzi i dj radiofonici, i giornalisti e gli addetti ai lavori.
Uno degli aspetti che viene fuori prepotentemente ascoltandovi è l’ironia…
Ci sentiamo più sarcastici che ironici. Chi usa l'ironia si pone al disopra dei problemi, noi invece li viviamo, soffrendo fino in fondo le ostilità della vita e finendo quasi sempre per avere inconcludenti propositi suicidi.
Partendo da un brano come “Questa società”, quanto influiscono nella vostra musica i fatti e le tematiche attuali del Belpaese?
Alcuni dei nostri brani sono figli della difficoltà secolare che s’incontra in Italia nel portare avanti un progetto o un'idea. Non si tratta di un problema esclusivamente attuale; da quando ho facoltà di intendere e di volere, sento intorno a me gente che si lamenta di non avere opportunità, né la possibilità di concretizzare le proprie aspirazioni. L'unico modo di contrastare questa situazione è fare affidamento sulla propria determinazione e perseveranza.
Il brano dell’album di cui siete più fieri, e quello che più vi piace suonare dal vivo.
“Alé” è probabilmente il nostro brano meglio riuscito sia musicalmente che nelle liriche, ma dal vivo proviamo più soddisfazione nel suonare canzoni come “Eviterò la terza età” e “Callcenter”.
Mi ha colpito molto la vostra bellissima cover di De André…
Grazie! Volevamo affrontare “La canzone dell'amor perduto” con un approccio più epico e disperato rispetto all'originale. Il risultato è una versione a metà strada fra Loretta Goggi e gli Iron Maiden.
Avete avuto dei modelli durante la genesi del disco?
No, l'unico nostro intento era fare un disco potente e melodico, gioioso e allo stesso tempo disperato.
Le foto dei vostri live parlano chiaro: cosa vi dite prima di salire sul palco?
“Daje regà, tutto a manetta!”
Il video di “Lo sanno tutti” ironizza sulla differenza tra la scena romana e quella milanese: potete descriverci meglio i due contesti?
A Roma si suona tanto, ci sono molti locali e spazi per fare musica, ma nella percezione della gente comune le occasioni pare risiedano tuttora a Milano e al nord in generale. Questo ormai non è più vero, tuttavia c'è sempre una certa spocchia e senso di superiorità in chi proviene artisticamente dal triangolo Milano-Bologna-Torino. Noi, non volendo essere ghettizzati in quanto romani, abbiamo deciso di nascondere la nostra provenienza cantando con un accento nordico per riscuotere maggior rispetto e attenzione.
Una band della vostra scena che avete come punto di riferimento?
I Nobraino, i quali fanno una musica molto diversa dalla nostra, ma stanno costruendo il loro successo partendo da una base reale di pubblico che li segue e li sostiene nonostante non abbiano una grande esposizione mediatica.
Secondo voi, in che condizioni versa la musica indipendente italiana? E quante difficoltà ha una giovane band di valore a venire fuori dal mucchio?
La situazione indipendente italiana attuale è molto migliore rispetto al passato. Internet permette ogni giorno a centinaia di realtà meritevoli di promuoversi e divulgarsi senza spese eccessive e senza l'aiuto delle ormai inutili e cancerogene majors. Le difficoltà per una band sono sempre le stesse dagli anni ‘50 in poi: convincere il pubblico che la propria musica è utile per lo spirito e convincere produttori e managers che il proprio progetto è utile per i loro portafogli.
Una domanda d’attualità: un vostro parere sulla performance dei Management del Dolore Post-Operatorio al concerto del Primo Maggio.
Se il loro modo di esprimersi artisticamente è quello, hanno fatto bene.
A quale artista vorreste aprire un live?
A Iggy Pop.
Il vostro esordio arriva dopo anni di scorribande e incendiari concerti: visto il riscontro positivo dell’album, pensate di continuare con i concerti o di dedicarvi a un degno bis?
Ora dobbiamo promuovere l'album e suonare il più possibile in giro per l’Italia. Si parlerà di un secondo disco probabilmente alla fine del prossimo anno.
Comments