[IlLive] The National @Auditorium Parco della Musica, 30 giugno 2013
di Alessio Belli / 5 luglio 2013
Avendo già accennato alla quasi impossibilità d’essere obiettivo e imparziale nei confronti dei National, confesso che all’inizio un po’ di paura c’era. Un lieve timore. Da fan, al primo concerto della band preferita. Paura, timore e anche un pizzico di gelosia. Mi spiego: i National non sono tipi da mettere tra i tanti nella playlist dell’iPhone o di Spotify. Non sono nemmeno il sottofondo mentre fai altre cose. I National li devi ascoltare. E basta. Più di una volta. Per fruire della meraviglia degli album, delle emozioni dai testi. Ciò comporta che diventino la band con cui crei un rapporto personale, unico. Essendo l’emblema dell’indie-rock, un fan – un po’ egoisticamente – non li deve condividere nemmeno con troppe persone. Solo che poi arrivi al concerto con le sensazioni dette all’inizio.
Ora la band americana non canta più solo per te, ma per altre 3.000 persone. Quelle presenti il 30 giugno alla meravigliosa Cavea dell’Auditorium Parco della Musica. Una serata più primaverile che estiva. Tutto esaurito. Gli spettatori rimangono seduti per poco. Non si resiste composti. E realizzi che non sei l’unico ad avere quel legame con i National. La paura e il timore che un sound tanto confidenziale ed emotivo possa rendere poco dal vivo crolla subito. Matt Berninger – lontanissimo dagli stereotipi del performer classico – sa come smuovere gli animi. Per esempio, aprendo il concerto con il classico di Boxer “Squalor Victoria”. Le sue urla scuotono. Di seguito arrivano dei pezzi forti dell’ultimo album – già classico – Trouble will find me: “I Should Live in Salt” e “Don’t Swallow the Cap”. Ormai sono tutti in piedi. Accalcati sotto il palco, a sfiorare la band: soprattutto il leader e i chitarristi, i fratelli gemelli Dessner, che quando non suonano, incitano il pubblico a tenere il tempo con il battito delle mani.
Anche la gelosia è svanita: è bello vedere tanti amanti del rock scegliere una band così “complessa”. Nel frattempo la magnificenza di “Bloodbuzz Ohio” e “Mistaken for Strangers” riecheggia per la Cavea. Il pubblico è in estasi. Tra “Demons” e “Sea of Love”, Matt Berninger rimane fedele alla fama di etilista e continua a stappare bottiglie di vino. Scherza con i ragazzi del fan club, che lo hanno omaggiato con uno striscione. Tutti i membri del gruppo sorridono nel ricordare una lontana tappa romana: «Era nel 2003, 2004. C’erano trenta persone, in un locale chiamato Zoobar».
Ora le cose sono cambiate. La scaletta è perfetta. I brani dell’ultimo disco, con i pezzi più amati: “Conversation 16”, “I Need My Girl”, “Abel”, “Slow Show”, “Pink Rabbits” e “Graceless”. Come si fa ad amarli così tanto? La risposta è in queste canzoni. Da brividi ancora una volta l’esecuzione di “About Today”, il brano preferito di Berninger. La sua catarsi. E immaginatevi il boato quando il piano inizia “Fake Empire”.
Ma il meglio arriva nei bis. In “Mr. November”, Matt impazzisce e decide di scendere tra il pubblico. Attraversandolo fisicamente, non solo con la musica. Arrivando a sfiorare anche chi è nei posti in alto. Indimenticabile. Come il gran finale. I National abbandonano i posti vicino agli strumenti per mettersi ai limiti del palco. Matt gira il microfono verso il pubblico. Totalmente in acustico, parte “Vanderlyle Crybaby Geeks”, cantata solamente dai presenti. La degna conclusione di un concerto immenso e indimenticabile. Chi ha assistito conoscendo il gruppo, terrà stretto per sempre il ricordo. Chi li ha conosciuti per la prima volta, non potrà fare a meno di ammetterne la grandezza. Per chi ancora non li conosce, be’, è tempo di spegnere la radio e la tv, e di recuperare il prima possibile. Anche perché qualcuno inizia a vociferare che i National sono pronti per i grandi stadi…
E anche se fosse, la prossima volta, assisteremo senza paure.
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