“La piena” di Mikael Niemi
di Elisa Cianca / 12 luglio 2013
La piena di Mikael Niemi (Iperborea, 2013) è un romanzo catastrofico ambientato in Svezia, in cui si racconta l’arrivo di un’inondazione e le reazioni di una serie di personaggi, in una piovosa giornata d’autunno: atti quotidiani di nessun rilievo apparente, gesti che diventano “gesta” o “infamie” imponendosi in situazioni estreme come azioni buone o cattive, e condannando o eroicizzando per sempre coloro che le compiono. In un’ambientazione nordica, «in uno dei territori selvaggi più vasti del Nord Europa» avviene un cataclisma, una piena che travolge e spazza via case e persone.
Un romanzo sullo scontro ancestrale tra l’uomo e la natura, sulla primordiale lotta per la sopravvivenza tra l’essere umano e l’ambiente in cui vive, che ha cercato di domare, plasmare, ricostruire a sua immagine. La natura come nido, riparo, rifugio della creatura uomo si scatena contro il proprio protetto presentandosi sotto forma di energia distruttrice di un fiume, il fiume Lule.
«E così questo è il fiume. Lo stesso fiume che avevano contribuito a addomesticare. Lo avevano fatto a pezzi, squartato come un serpente, diga dopo diga, sezione dopo sezione. Avevano fissato al suo corpo lunghi fili che portavano l’elettricità, lo avevano creduto domato e sconfitto. Ma si era risvegliato. Il vecchio fiume, quello vero. Si era liberato dalle catene, impetuoso e rombante, adesso era lui a decidere».
L’acqua diventa protagonista assoluta e non è un caso se proprio nel bacino del fiume Lule, territorio bellissimo, ancora fortemente incontaminato, questa rivolta degli elementi prende la forma di un’inondazione e si fa strada a poco a poco nella narrazione.
I personaggi ingaggiano una battaglia personale per tentare di opporsi, resistere e sopravvivere alla catastrofe naturale, al mostro che si manifesta dapprima come un rumore, un fragore, un tremore: «un po’ come se nell’aria ci fosse un temporale, un imminente acquazzone». A tratti è «una montagna rotolante si avvicina come un incubo», a tratti «una bocca ululante che si chiude e inghiottisce tutto» e torreggiante s’impone dall’alto. Ma per chi vive in quei luoghi, per chi ha familiarità con i boschi, questo scenario, paesaggio dell’infanzia, evoca sorprendentemente ricordi piacevoli e sensazioni confortanti.
Tra una miriade di personaggi sui quali l’obiettivo si sofferma più da vicino, si distinguono Vincent Laurin e Lena Sundh: personaggi positivi e coraggiosi che forniscono al lettore due punti di vista originali e un po’ insoliti. Il primo, Laurin è un elicotterista che, deluso dalla vita, vorrebbe schiantarsi con il suo velivolo. Dall’elicottero, l’altezza gli consente di avere un margine di vantaggio sulla massa d’acqua in arrivo e di intervenire tempestivamente in più di un’occasione diventando, lui «novello Icaro» candidato suicida, salvatore di vite con il suo mezzo: «un grembo materno […], una piccola bolla con un cordone ombelicale che frustava il cielo fino ad aprirvi un buco, un varco risucchiante attraverso cui si nasceva».
Lena Sundh vive invece la calamità con l’occhio privilegiato di un artista, un pittore che voglia rappresentare la realtà circostante. E il suo linguaggio è intriso di metafore che richiamano il campo pittorico, rendendo l’inondazione un’opera d’arte in fieri, quasi un tableau vivant, che si evolve sotto i nostri occhi di lettori. Il compito della mattinata per i suoi allievi è: «dipingere l’acqua con l’acqua, era come un battesimo. Un rito. Dipingeva il fiume con il fiume, il Julevädno le colava sul foglio». Riesce ad aggiungere un tocco poetico al paesaggio un attimo prima che venga spazzato via.
L’idea di fondo di un diluvio universale non ci abbandona mai, fin dall’epigrafe che lo rievoca citandone il passo della Genesi: siamo immersi in un’atmosfera apocalittica fatta di vittime e sopravvissuti, in cui l’elicottero rappresenta l’unica ancora di salvezza nel cielo e sulle acque tutto ciò che può resistere sono tronchi di legno di betulla o di pino; una vecchia baita fa le veci dell’arca di Noè agli occhi di una giovane che porta in grembo il seme della vita, e qualcuno riesce a salvarsi perché per miracolo «forse la mano del Signore era scesa dal cielo, si era posata sul letto del fiume e aveva fermato il muro d’acqua nel bel mezzo della catastrofe».
(Mikael Niemi, La piena, trad. di Katia De Marco, Iperborea, 2013, pp. 334, euro 16,50)
Comments