“Camus nel narghilè” di Hamid Grine

di / 19 agosto 2013

Un divertente esercizio di immaginazione è indubbiamente quello del «se fossi». Hamid Grine in Camus nel narghilè (E/O, 2013) utilizza questo stratagemma per descrivere, con amore appassionato, l’Algeria indipendente che si confronta con uno dei suoi giganti, Albert Camus.

Nabil è un protagonista senza niente di speciale. Cresciuto nella venerazione di una madre-santa, incapace di ribellarsi al padre padrone, circondato da una famiglia sgradevole e adottato da una moglie generale, Warda, ci viene descritto con un uomo che è stato capace di prendere un’unica decisione nella vita: vivere onestamente e mantenersi fedele alla missione di allevare le nuove generazioni algerine. Un giorno, però, il padre di Nabil muore e suo zio Messaoud gli offre una verità da troppo tempo nascosta: Nabil non sarebbe figlio del suo freddo e illetterato padre, bensì di Albert Camus, il premio Nobel per la letteratura autore di Lo straniero.

Che si tratti di una falsità è palese fin dall’inizio. Warda, la solida e logica Warda, ci disillude immediatamente osservando che la prevedibile e meschina intenzione di Messaoud altra non è che quella di far leva sull’onestà del nipote per spingerlo a rinunciare spontaneamente alla propria parte di eredità. E pure, affascinato dalle infinite possibilità del «se fossi», Nabil si mette alla ricerca delle proprie radici, indaga sull’origine dei propri occhi azzurri, uguali a quelli di Camus, e si immerge in un’Algeria mitica, dove tutto risuona delle parole del filosofo, finanche la fascinazione per Sarah, la bella collega che lo porta fino a Tipasa, che nelle parole di Camus è «abitata dagli dei, e gli dei parlano nel sole e nell’odore dell’assenzio, nel mare corazzato d’argento, nel cielo d’un blu crudo, fra le rovine coperte di fiori e nelle grosse bolle di luce fra i mucchi di pietre». Alla fine però, come un palloncino, Nabil ritrova il filo che lo riconduce a terra dalla moglie, un po’ più sporco, forse, a dimostrazione che la formazione spirituale dell’individuo non si ferma solo perché l’età della maturità anagrafica è stata raggiunta e superata da decenni.

Questo romanzo, nella sua semplicità linguistica e stilistica, contieneuna storia d’amore, una ricerca della figura paterna, un accenno di biografia e, non meno importante, un’indagine critica e problematizzante sull’atteggiamento degli intellettuali algerini e francesi durante la guerra di liberazione. A tal proposito, rileva la considerazione che, nonostante il luogo di nascita, il filosofo di Dréan fosse e sia considerato francese. È su tale considerazione che Grine ancora l’impianto critico in merito alla scelta durante la guerra d’Algeria di non sostenere l’indipendenza del paese, al contrario di quanto invece, tra gli altri, facesse Jean-Paul Sartre.

Camus nel narghilè è un libro piacevole e interessante che ha il merito di incuriosire sulla vasta produzione di Hamid Grine, ma soprattutto di spingere il lettore verso l’approfondimento della conoscenza di una delle vicende più importanti del periodo della decolonizzazione offrendogli l’immagine calda e vibrante di un Albert Camus innamorato e capace di far innamorare della propria terra.


(Hamid Grine, Camus nel narghilè, trad. di Alberto Bacci Testa, Edizioni E/O, 2013, pp. 189, euro 17,50)

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