“Cuore di tenebra” di Joseph Conrad

di / 12 ottobre 2013

Diventa sempre più difficile convincere mia moglie che, quando guardo fuori dalla finestra, sto lavorando.
Joseph Conrad

 

Il fascino di Roma, Praga, Budapest, Parigi. La ricchezza commerciale di Anversa. E andando più indietro nel tempo: i popoli mesopotamici, gli Egizi, agli antichi romani. Ancora, Le avventure di Huckleberry Finn, la morte di Ofelia nell’Amleto e quella di Marinella nella canzone di Faber. Per finire Jim Morrison e i Doors: “Yes, the River Knows”, penultima traccia di Waiting for the Sun. Città, popoli, opere letterarie, canzoni che devono tutto, o quasi, al fiume che le attraversa.

Ma c’è uno scrittore che ha percorso mari e corsi d’acqua non solo grazie a penna, inchiostro, spartiti e immaginazione. Joseph Conrad sulle navi ci è salito davvero. Da Sumatra a Costantinopoli, al servizio della marina di sua maestà Vittoria. Sedici anni sulle navi mercantili. Un periodo che ha permesso all’autore nato in Polonia di raggiungere il grado di capitano, padroneggiare la lingua inglese e soprattutto di entrare in contatto con le opere dei giganti della letteratura albionica.

Non è un caso quindi se in gran parte della poetica di Conrad l’elemento acqua ha un ruolo centrale. Paesaggio fluviali, ambienti marini sono una presenza quasi costante nella produzione dell’autore polacco. Dove diventa impossibile separare l’invenzione e l’autobiografismo. Certo, l’acqua è la superficie sulla quale viaggiare. Un movimento fisico, da un punto di partenza a uno d’arrivo. E ritorno. Ma l’acqua accompagna anche e soprattutto le traversate all’interno della psicologia e del linguaggio umano. Un’esplorazione interiore, complessa, tormentata e per questo più affascinante.

Paradigmatico diventa quindi Cuore di tenebra. Il percorso di Marlowe su un battello a vapore mercantile che ripercorre un viaggio reale fatto da Conrad in Congo. Con lo stesso tipo di imbarcazione. La trama, l’eternità di Kurtz, la riflessione sul colonialismo. Certo, ma questo romanzo breve non è solo un viaggio lungo un fiume unto e viscoso. È un’immersione in un linguaggio complesso, non immediato, che impone una riflessione quasi a ogni pagina. Joseph Conrad obbliga il lettore a fermarsi, tenere il segno con l’indice e riflettere su quello che ha appena letto. Magari guardando fuori dalla finestra. Un’opera che a dispetto della sua brevità si fa dunque complessa, finanche oscura. Ed è questa la grandezza dell’autore anglo-polacco: uno stile letterario che finisce col fondersi all’ambiente, ai personaggi, alle riflessioni di Marlowe-Conrad. Lingua intricata, ombrosa ma fortemente visiva come dimostrano le diverse trasposizioni cinematografiche. Stile mai scontato. Proprio come un viaggio nella foresta tropicale a bordo di una nave rattoppata alla bell’e meglio. O come il contatto con un personaggio dai contorni indefinibili come Kurtz. Portatore di un’ars oratoria –a proposito di linguaggio – che gli ha permesso di elevarsi dallo stato di uomo a quello di semi-dio presso la tribù africana. Poi c’è quell’ultima parola. Quell’orrore pronunciato da Kurtz, un palpito prima di lasciare questo mondo. Poche lettere, su cui si potrebbe parlare per ore. Per potenza e suggestione quasi un verso poetico.

Da The Nigger of Narcissus a Lord Jim, da Youth, fino agli ultimi Typhoon e Nostromo, Conrad utilizza l’acqua come metafora di un costante lavorio introspettivo. Questo elemento diventa emblema di solitudine interiore – l’autore era facile preda di depressione e arrivò a tentare il suicidio. Una nave in mezzo al mare è un Io isolato da tutto tranne che dalla propria coscienza, spesso piena di ansie e rimorsi. L’acqua è poi irrazionale, incontrollabile, sembra una volontà proprio, imperscrutabile: calma un attimo prima, agitata e ingestibile poco dopo.

In Conrad non sempre vi è un finale positivo, un approdo sereno e rassicurante in un qualche porto straniero. Fulcro dei romanzi diventa così l’indagine incessante dell’uomo di fronte a se stesso. Un novello Narciso, che invece di arrivare a morire nella fissità di uno specchio d’acqua, a volte preferisce fare un passo indietro, navigare controcorrente nella propria anima per riapprodare al punto di partenza. Consapevole però dei mutamenti subentrati per il solo fatto di esser partito. Proprio come succede in Cuore di tenebra. Si parte dalla City, si guarda in faccia l’orrore, si ritorna a Londra. 


(Joseph Conrad, Cuore di tenebra, prima ed. it. Sonzogno, 1924)

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