“Wild Light” dei 65daysofstatic

di / 21 ottobre 2013

«No one knows what is happening».
Così inizia Wild Light dei 65daysofstatic da Sheffield. Lo afferma senza dubbi una robotica voce femminile e io le credo, perché al trentesimo secondo partono i sintetizzatori e davvero non so cosa stia succedendo, né cosa aspettarmi da un gruppo che basa sull’evoluzione musicale il proprio cambiamento, data la natura completamente strumentale di tutte le sue composizioni.

Avevo lasciato i 65daysofstatic (65dos, abbreviato) di We Were Exploding Anyway con l’elettronica pesante dell’ultimo pezzo “Tiger Girl”, che chiudeva paradigmatico una virata più elettronica del quartetto inglese. Invece Wild Light si apre con un tappeto di synth e campionature, un pezzo lento, una vera e propria ouverture che è “Heath Death Infinity Splitter”. Quando parte la seconda traccia, “Prisms”, ci pensi che forse hai capito l’andazzo, forse hanno sintetizzato tutto: chitarre, bassi e batteria sono elettronici, ovattati. Non ci vuole tanto ad essere subito smentito dalle linee aggressive delle successive “The Undertow” e “Blackspots”. Quando la parte melodica non prende il sopravvento in pezzi come “Taipei” che ricorda il post-rock più classico, il disco è molto incentrato sui bassi, ripetuti e quasi subliminali. Nella foresta elettronica che i quattro riescono a creare con le tastiere, i campionatori e i beat di batteria la luce selvaggia del titolo che filtra è questa: il suono inaspettato, la liberazione, lo stridio acuto che spicca tra i suoni familiari, sicuri, ottundenti.

La capacità maggiore dei 65daysofstatic è quella di far sembrare questo processo sempre come qualcosa di naturale; i suoni contrastanti diventano complementari, niente sembra (niente è) creato, incrociato, sovrapposto per caso. Tenere questa capacità quando i ragazzi di Sheffield sono già al sesto disco in poco meno di dieci anni è un dono, uno di quelli sfruttati bene.

È sempre stato difficile definire un genere per i 65dos, per il – semplicisticamente parlando – mashup di post-rock, elettronica e noise della band inglese. A differenza di colleghi (e concittadini) i 65dos cercano di variare la loro ricetta, o composizione chimica nel loro caso, avendo come obbiettivo lo stesso risultato, creando forse non il loro disco migliore a livello prettamente contenutistico o di appetibilità per il grande pubblico; allo stesso tempo l’album è un rumoroso segnale di vitalità artistica e creativa. La luce selvaggia è anche questo.


(65daysofstatic, Wild Light, Hassle Records, 2013)

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