“Animali domestici” di Bragi Ólafson
di Gianluca Di Cara / 24 ottobre 2013
Direttamente dalla fredda Islanda, questo romanzo sfida il lettore più prevenuto con una narrazione fenomenale. Tornato da un viaggio a Londra dove ha speso una consistente quota di una vincita alla lotteria, Emil non riesce a godersi l’aria di casa: una serie di eventi si frappongono tra lui e il suo desiderio di ascoltare i cd con cui ha riempito la valigia, di leggere i libri in cui ha intenzione di immergersi e, peggio ancora, di trascorrere del tempo insieme alla passione della sua adolescenza, casualmente incontrata su un volo di ritorno che, in fin dei conti, sarebbe stato meglio se avesse perso. Questo, in estrema sintesi, il riassunto di Animali domestici di Bragi Ólafson (La Linea, 2013).
Leggere questo romanzo è come immergersi in una pièce teatrale, in una rappresentazione della commedia umana nella quale ci troviamo inevitabilmente a parteggiare per il protagonista, il “buono” per eccellenza, che si trova all’improvviso ad avere a che fare con un incubo tornato dal passato, Hávarður, ex collega ed ex amico (anche se “amico” è forse una definizione esagerata) che incarna quanto più di abietto c’è nell’uomo. Hávarður fa irruzione in casa di Emil che, pur di evitarlo, e senza nemmeno voler sapere che cosa lo abbia spinto a Reykjavík (ma non era in carcere?), si nasconde sotto il letto, un’azione a prima vista ben poco matura e che, proseguendo nella lettura, si dimostrerà in effetti la peggiore possibile. Da questo momento in poi si procede verso l’assurdo: poco dopo l’arrivo di Hávarður, ecco Ármann, linguista islandese cui Emil aveva per errore preso gli occhiali sull’aereo. E poi Gréta, la donna da cui Emil si sente perdutamente attratto. E altri ancora, i colleghi Jaime e Sæbjörn, il vicino Tómas, e un’intera band di musicisti. Ognuno si comporta come se fosse a casa propria, dimenticandosi presto di interrogarsi sulla misteriosa scomparsa di Emil e lasciandosi persino andare ad atti osceni.
A pochi passi dalla realtà che non riesce a cambiare, protetto dalla falsa sensazione di immunità donatagli dall’ombra del materasso, Emil sembra una rappresentazione dell’umanità che non sa risolvere un’impasse, che ha aspettato troppo a farsi coraggio e che si rende conto che, per qualsiasi soluzione possa propendere, ormai è giunta a un punto di non ritorno. Tra una situazione grottesca e un’altra palesemente ridicola, riusciamo a scoprire che il titolo del libro richiama gli animali domestici che Emil e Hávarður anni prima avrebbero dovuto custodire per un conoscente di Emil e che hanno fatto una fine miserrima. Allo stesso tempo, ci rendiamo conto che tutti i personaggi chiusi tra quelle quattro mura sono a loro volta degli autentici “animali domestici” messi in gabbia dalle loro stesse esistenze, e che il protagonista è il loro migliore rappresentante.
Ólafson ci sa sorprendere con un libro leggero e spiritoso ma al contempo ricco di spunti, quasi una piccola scenografia teatrale che si può leggere in appena un paio di giorni, con un finale a sorpresa, del tutto inatteso, che ci lascia senza parole.
(Bragi Ólafson, Animali domestici, trad. di Silvia Cosimini, La Linea, 2013, pp. 205, euro 15)
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