“Bloodsong” di Allen Ginsberg

di / 6 dicembre 2013

«Un’amicizia. Una passione. Un omicidio. L’alba della Beat Generation».

È riassunto così, sulla quarta di copertina, Bloodsong di Allen Ginsberg (ilSaggiatore, 2013). Per questo libro il curatore James Grauerholz ha selezionato alcune pagine dai diari di Ginsberg e dalla sua corrispondenza tra il 1943 e il 1945, anni in cui nacque l’amicizia tra lo stesso Ginsberg, Jack Kerouac, William Burroughs e Lucien Carr, presso la Columbia University di New York.

Quest’amicizia diede vita al Circolo dei Libertini, e ai prodromi di quello che verrà poi battezzato Movimento Beat, il primo vero movimento di controcultura negli Stati Uniti del XX secolo: temi onnipresenti nei dialoghi e nelle pagine riportate da Ginsberg sono il rifiuto dalla cultura borghese moderna, le nuove idee anticonformiste e bohemien rispetto ad arte, letteratura, vita, la sperimentazione di droghe e di una sessualità alternativa.

Ma quelli raccontati non sono solo i mesi dell’amicizia, delle notti brave e della New Vision artistica; il vero protagonista, a volte in primo piano, a volte sottinteso, è l’omicidio di David Kammerer, per mano di Carr. Kammerer viene descritto come un uomo maturo, follemente infatuato di Carr, sempre presente eppure mai veramente parte del gruppo; Carr invece è il cardine intorno a cui tutto e tutti ruotano, genio sregolato, carismatico e auto-distruttivo. Un novello Rimbaud. Il fascino da lui esercitato su Ginsberg è palese in ogni singola pagina del libro.

Non è un segreto ciò che accadde quella sera di agosto del 1944: Kammerer esagerò per l’ennesima volta con le solite avances nei confronti di Carr; questi lo respinse malamente, e Kammerer quindi lo aggredì; in preda al panico, Carr per difendersi finì per accoltellarlo. L’omicidio ebbe serie ripercussioni nei lavori dei diversi membri del gruppo: La città e la metropoli e Vanità di Duluoz di Kerouac sembrano esserne entrambi, a modo loro, una rivisitazione. E Kerouac e Burroughs, insieme, raccontarono gli eventi che portarono all’omicidio nel romanzo E gli ippopotami si sono lessati nelle loro vasche, pubblicato per la prima volta solo nel 2008, scomparsi ormai tutti i protagonisti della vicenda.

L’omicidio di Kammerer colpì ovviamente anche Ginsberg che tentò di trarne un romanzo, Bloodsong appunto, ma non lo portò mai a termine. Eppure le poche pagine che lo compongono risultano essere, nella loro crudezza descrittiva, la parte più avvincente del libro.

Oltre all’incompiuto romanzo, da cui prende il nome, questo volume raccoglie anche alcuni brani tratti da The Book of Martyrdom and Artifice: First Journals and Poems, 1937-1952 (Da Capo Press, 2006), ossia il diario di Ginsberg: dialoghi concitati con Carr e Kerouac si alternano a deliranti descrizioni oniriche, a poesie, a lettere, a elucubrazioni spesso confuse e prolisse su arte, cultura, conformismo, suicidio. Questa parte risulta per il lettore la più ostica, sia a livello stilistico che contenutistico, e in più di un’occasione si ha l’impressione che la scelta dei brani pubblicati sia stata poco efficace: si salta dalla descrizione di un sogno, a una poesia, dall’elenco di diverse droghe e dei loro effetti, alla fedele riproduzione di un dialogo sul tema arte/artista. In definitiva, si è portati a chiedersi se le pagine di diario non pubblicate non avrebbero permesso un trait d’union più efficace tra una pagina e l’altra, e concesso quindi una maggiore comprensione dei pensieri del giovane Ginsberg e dei suoi compagni.


(Allen Ginsberg, Bloodsong, trad. di Monica Martignoni, ilSaggiatore, 2013, pp. 160, euro 15)

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