“Dieci dicembre” di George Saunders
di Luigi Ippoliti / 9 dicembre 2013
Dieci dicembre (minimum fax, 2013) è l’ultima raccolta di racconti di George Saunders. Un mondo probabilmente meno iper reale dei suoi precedenti – basti ricordare “Il mio splendido nipotino” nella raccolta Il paese della persuasione (minimum fax, 2010). Infatti, le componenti che hanno sempre caratterizzato i luoghi dove Saunders ha ambientato le sue storie sono meno invasive, ci si sente meno oppressi dalle logiche che vedono l’uomo in continua balia delle scelte di queste iperboliche società, e di quale e dove sia il limite per l’uomo nell’atto di scegliere, quanto la scelta sia fondamentalmente indirizzata da forze materiali più grandi rispetto al singolo e quindi quanto possa risultare una tragica illusione.
Di fondo, comunque, rimane la visione distopico-fantascientifica propriamente a là Saunders (soprattutto nello splendido “Fuga dell’aracnotesta”, in cui vengono sperimentati su pazienti farmaci capaci di alterare gli stati d’animo in maniera, oggi, esagerata e che poi saranno immessi sul mercato) e persevera soprattutto il modo di trattare il mondo, l’uso dell’ironia un po’ alla Donald Barthelme, un po’ alla David Foster Wallace (meno rispetto allo scrittore morto suicida nel 2008, vista la tendenza massimalista).
I mostri della società moderna, della sovraesposizione della pubblicità, del marketing, del profitto fanno spazio a un’analisi più vicina alle piccole cose della vita, alla quotidianità, alle insulse vittorie quotidiane che in realtà sono degli squarci d’amore nella propria vita e in quella degli altri. Da questo punto di vista, “Dieci dicembre” è un racconto superlativo, dall’architettura perfetta paragonabile a quella di “Un giorno ideale per i pesci banana” di Salinger.
Traspare, rispetto alle precedenti raccolte, una visione del futuro dell’individuo meno buia. Le apocalissi tecnologiche del passato vengono sostituite da un sentimento quasi salvifico che deriva dall’essere umano, una speranza, anche minima, per i personaggi e quindi per tutti quanti di poter cambiare ciò che si ha attorno. L’uomo, nel suo infinitesimale stato di essere minuscolo, può stravolgere le cose.
Saunders è fortemente ispirato dalla realtà statunitense. Tuttavia, parlarne come di uno scrittore eccessivamente insulare (ma questa è una critica rivolta spesso agli autori americani), pare fuoriluogo e oggi privo di giustificazioni. In una società globalizzata è impensabile non ritrovare certe dinamiche, non impressionarsi di come l’autore riesca a immaginare in quale modo tutto possa evolvere (o involvere), i tipi di strade che potrà intraprendere: molti aspetti culturali d’oltreoceano sono, sono diventati e diventeranno palesemente nostri. Saunders parla a tutti e di tutti.
Dieci dicembre è un’opera di una potenza inaudita. Saunders è il cantore di una società imperfetta, erede della grande tradizione letteraria americana.
Saunders è un miscuglio sensazionale di Ernest Hemingway e David Foster Wallace, e in Dieci dicembre dimostra di poter reggere il confronto con i grandi del Novecento.
Saunders è ciò di cui abbiamo bisogno.
(George Saunders, Dieci dicembre, trad. di Cristiana Mennella, minimum fax, 2013, pp. 222, euro 15)
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