“La vita in città” di Donald Barthelme
di Fabrizio Miliucci / 13 gennaio 2014
A distanza di quarant’anni dalla prima edizione americana, i racconti de La vita in città di Donald Barthelme (minimum fax, 2013) sono una brezza diabolica che attraversa la coscienza dei (distratti) lettori di oggi.
È probabile che questi tredici pezzi inframezzati da immagini e scritte-slogan infastidiscano i fruitori di fiction, perché in essi la narrazione assume vesti diverse, varie, diseguali. Chi è in cerca della storia “ben spiegata” potrebbe non apprezzare l’incontro con Don Barthelme (1931-1989) che la casa editrice minimum fax sta propiziando, pubblicando e ripubblicando le sue opere (Ritorna, Dr. Caligari; Biancaneve; Atti innaturali, pratiche innominabili). Ma per chi è incuriosito dai volti della cosiddetta letteratura postmoderna, «fra i cui padri fondatori, semplificando, si può contare Don Barthelme», non sarà un problema inciampare nelle strane architetture di queste narrazioni in bianco e nero, dispotiche, commoventi, metà banali e metà incomprensibili, senza sapere quale metà si sta leggendo ora.
Dai flemmatici tormenti filiali di “Vedute di mio padre in lacrime”, a quel posto dell’anima chiamato “Paraguay”, passando per le atmosfere del “Museo Tolstoj” e del “Ballo dei poliziotti”, arrancando sulla lunghissima frase del racconto intitolato “Frase”, assistendo a una disquisizione “Sugli angeli” e approdando in fine alla città, alla “Vita in città”, questi racconti difficilmente inquadrabili assemblano «uno strano oggetto coperto di pelo che vi spezzerà il cuore», o tenterà di farlo.
«Cos’è esattamente che rende i racconti di Barthelme così teneri, così accattivanti? C’è un’emozione o un’atmosfera che li caratterizza. È un’emozione che non ha nome. A volte la si può chiamare “dolcezza”, altre volte “ironia”, a tratti “divertito cinismo”. […] Eccola qui la realtà, sembra dire Barthelme: è profondissima ed è struggente ed è qualcosa da riderci su», scrive Vincenzo Latronico nella prefazione.
Corredato da un Profilo bio-bibliografico e da una Bibliografia, come sempre per la collana minimum classics, La vita in città offre gli strumenti essenziali per cadere nella rete del brillante scrittore-giornalista.
Quello con Barthelme è un incontro che si afferma da noi con notevole ritardo rispetto alla forza di alcuni compagni della stagione postmoderna, di cui si è cominciato in questi anni a declamare la fine. Il senso di vintage che accompagna opera e autore gioca certo a favore di un’onda lunga che si irradia dalla carriera sicura, solida, senza flessioni, svolta negli USA tra gli anni Sessanta e gli Ottanta. E la voce di Barthelme è una voce forte, conclusa, i suoi racconti muovono fino a noi percorsi da un sottile strato di ghiaccio, una frigidezza che è forse l’unico sentimento diperato che aleggia tra queste storie.
(Donald Barthelme, La vita in città, trad. di Vincenzo Latronico, minimum fax, 2013, pp. 163, euro 11)
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