Di lezioni date e mancate
di Mario Massimo / 23 gennaio 2014
Sulla morte, il 6 dicembre 1791, a Vienna, di Franz Hofdemel, cancelliere di Corte Suprema (suicida, con una rasoiata alla gola, dopo le cinque o sei che aveva assestato, in viso e alle mani alzategli contro a grama difesa, da sua moglie Maria Magdalena: senza riuscire, per altro, che a incavarvi l’insensato logogrifo di deturpazione delle cicatrici, finché l’appesantirsi di rughe non vi lavorò a modo suo, con gli anni; né, meno che mai, a recare il minimo danno all’occulto agglomerarsi impeccabile di altre umane sembianze, a un anno dal parto della prima figlia, nel buio del grembo, da più settimane) il perbenismo kakaniese delle autorità si affrettò a minimizzare, e insabbiare.
Anche dietro al clamore destato dall’altra morte, della notte prima, di Mozart; morte il cui motivo era chiuso forse – è stato sostenuto, di recente – in una malformazione renale che cooperò con la febbre miliare, a cancellarlo tanto precocemente dal numero dei viventi; a tradirla, una parallela deformità al lobo dell’orecchio sinistro di cui resta traccia solo per la puntigliosa documentazione a stampa che ne fece trarre, sul letto di morte del marito, una velenosa Constanze: a perpetua prova della sua (arabo-fenicia?) fedeltà, giacché ne era afflitto anche l’ultimogenito suo, e a fortiori di Amadé, checché ne malignasse quest’ultimo, nelle martellanti missive in direzione di Baden, con una contraddizione che forse proietta un riverbero della inesplorata opacità del legame Guglielmo/Ferrando sul suo con Süssmayr, chaperon di Constanze a Baden e depositario del congetturale nachlass del Requiem, su cui invece avrebbe gettato tutto il fumo possibile proprio Constanze, preoccupatissima che l’altolocato committente in mantello grigio, al sospetto che la partitura non fosse stata fino all’ultimo foglio Mozart a 24 carati, accampasse ritorsioni dal suo strampalato contratto.
Certo è, circa Hofdemel, che al corpo venne risparmiata ogni infamia connessa, secondo l’usanza, e la legge, alla sepoltura dei suicidi; la notizia passò nei giornali spoglia di ogni enfasi, neutra.
Pure, a non dir altri, Beethoven sapeva, e si rifiutò a lungo di prodursi come pianista e improvvisatore in presenza della vedova Hofdemel, evidentemente accusandola, al di là di quanto la poverina potesse anche aver meritato, della comprovata affiliazione di Mozart (le aveva dato, al fortepiano, le prime lezioni nel 1789, a richiesta del marito, suo fresco compagno di loggia massonica alla “Speranza incoronata” e creditore contro una cambiale di 100 fiorini; ne era poi diventato amante, più o meno intorno al novembre 1790, all’epoca proprio della composizione di Così fan tutte:sicché in parte era sua, la svenevolezza di Ferrando a cui dà ristoro, non che andare a cena, un respiro appena della sua bella, sua la crudeltà di Guglielmo nel cambiare di posto al ritratto del commilitone fraterno, via da quel sobbalzare di seno) ai seguaci, del pari di quelli «Zum wohlkrönierte Hoffnung», di Astrifiammante: e una ancora, di seguaci, ne avrebbe identificata, il coriaceo Ludwig, nella madre dell’idoleggiato nipote Karl, dal quale ebbe poi a ricavare così tanti dispiaceri…
Quando, a ogni modo, all’esibizione si arrivò, si vuole che Maria Magdalena – si era ritirata a vivere a Brünn, a casa di suo padre, il Kapellmeister Gotthard Pokorny, della pensione di 560 Gulden che le era stata comunque elargita dall’Imperial-Regia micragnosità, e tornava a Vienna ormai sempre più di rado, ospitata da Carl Czerny, amico del padre – commentasse che in quel giovinotto dai gesti spigolosi e bruschi, dal viso tagliato con l’accetta, intorno ai due tempestosi globi bruni delle pupille, vi era addirittura qualcosa di più, che nel grande e compianto Salisburghese.
Ammorbidito, si vede, dall’inaspettata benevolenza di giudizio della reproba – anche alzare gli occhi fino allo sconciarsi turpe di quel viso, non deve essere stato da poco –, Beethoven accettò di dare lezioni di pianoforte a Johann Alexander, minuto, scialbo dodicenne (no, il lobo non era altro che assolutamente normale) cui sembrò fosse imposta una prova al di sopra delle sue forze, quando si trattò di venire avanti, evitando il frusciare ampio di vesti da lutto perenne della propria madre, e che, a ogni buon conto, già entro l’agosto di quel 1804, era stato portato via da un’infezione virale.
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