“Canzoni contro la natura” degli Zen Circus
di Mattia Pianezzi / 3 febbraio 2014
Accompagnato da un piccolo tour in giro per le librerie, il nuovo disco Canzoni contro la natura degli Zen Circus arriva in un momento particolare per i membri del circo zen. Tutti e tre negli ultimi tempi si sono dedicati ai loro progetti individuali con discreto successo e solo pochi mesi separano l’uscita solista di Appino – Il testamento – da questo nuovo, pluriannunciato disco.
L’unica natura cui vanno contro le canzoni dell’album è quella umana: si potrebbe dire che il disco declini l’umanità stessa attraverso la natura. Lo si capisce arrivando al cuore dell’album, al pezzo “Albero di tiglio”: non è più l’islandese leopardiano che va fino all’Africa equatoriale per incontrare la grande madre natura, è un uomo qualunque che ascolta un semplice tiglio che è ferito dall’umanità, e che però è Dio al tempo stesso – ironia, sarcasmo, ma anche qui compare l’insensatezza dell’antropocentrismo. Il tema si ripete nella title track, un racconto apocalittico di ribellione della natura contro l’umanità. Un piccolo, ironico riassunto della tematica dell’album si può trovare nel verso dell’ultimo pezzo, la ballata da intorno al fuoco “Sestri Levante”: «La natura ha leggi marziali, lo spritz Campari invece no».
Strumentalmente i tre del circo zen hanno fatto fruttare le loro esperienze soliste: pezzi accattivanti come il singolo “Viva”, le atmosfere clownesche di “Vai vai vai!” e “Albero di tiglio” con la sua lunga e oscura chiusa strumentale si discostano dalla semplicistica etichetta di combat-folk e cercano una dimensione nuova e più aperta.
È qui però che tutto il progetto un po’ si sfalda. Il tentativo di non abbandonare o comunque mettere in secondo piano l’attitudine punk e combattiva innata negli Zen Circus si affianca a ciò che la maturazione artistica comporta: le due tendenze confliggono per definizione e lasciano l’ascoltatore con pezzi trascurabilissimi come “Mi son ritrovato vivo” o altri ancora che avrebbero potuto salvarsi e invece si risolvono in una mediocrità da storcere il naso, come “Dalì” o “No way”.
Un’altra tendenza con cui gli Zen Circus non hanno fatto bene i conti è quella del cantautorato. Il segno di Rino Gaetano e Fabrizio De Andrè si sente in Canzoni contro la natura, ma lo stretto filo da equilibristi dell’omaggio non regge il peso di tre persone: pezzi come la metonimica storia di “L’anarchico e il generale” (ci si può praticamente cantare “Il pescatore” di De Andrè sopra) o il finale di “Viva” risultano di un già sentito stridente, lontano dalla delicatezza necessaria a un omaggio come si deve – che, peraltro, Appino ha già portato nel Testamento con “La festa della liberazione”.
Insomma, è un’umanità che ha stufato, lo cantano anche nel singolo “Viva” che: «Siamo diventati brutti».
I tre menestrelli degli Zen Circus hanno provato a raccontarcela; non credo sia un compito semplice, soprattutto quando si tenta di utilizzare una forma così chiusa come quella della canzone o dell’album musicale. In generale resta la sensazione di un’opera poco riuscita, discreta più che mediocre, di un gruppo che ha intrapreso un chiaro percorso di maturazione che ancora non è finito. Non li biasimo per questo tentativo, anzi. Aspetto il prossimo disco.
(The Zen Circus, Canzoni contro la natura, La Tempesta, 2014)
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