“Giulio” di Erasmo da Rotterdam

di / 24 febbraio 2014

Se aveva ragione un maestro come Eugenio Garin nel sostenere che un tema fondamentale nella riflessione di Erasmo da Rotterdam fosse quello della contrapposizione guerra-pace (il desiderio di «non vedere più la gente ammazzata, non vedere più le città bruciate, non vedere più i saccheggi, non vedere più dominate le pacifiche convivenze dai mercenari, dai soldati, non vedere più le armi»), ne consegue che l’ostilità del pensatore olandese verso il papa guerrafondaio Giulio II risulti tutt’altro che sorprendente. Al punto che Erasmo viene accreditato come l’autore di un libello satirico, lo Iulius exclusus, da poco in libreria con il titolo di Giulio, (Einaudi, 2014), nel quale il fin troppo celebre papa subisce lo smacco di un rifiuto clamoroso: San Pietro, davanti alla porta del Paradiso, gli nega l’ingresso. Ciò che ha fatto potente Giulio II (cristiano solo nominalmente) e che per lui costituisce motivo di vanto, per il custode del Paradiso è abominevole. Il fatto che si presenti armato non aiuta, anzi: la scorta di soldati che lo segue viene definita da Pietro: «un’accozzaglia della più turpe umanità».

Dopo la morte del papa, il testo ebbe a circolare anonimamente per l’Europa: Erasmo tendeva a evitare guai, ed esporsi così esplicitamente contro il capo della chiesa cattolica non conveniva a nessuno: lo spiega bene nel lungo saggio introduttivo la curatrice Silvana Seidel Menchi. Banali ragioni di prudenza, insomma, indussero Erasmo a confessare la paternità del pamphlet solo in ambienti molto ristretti.

Nel dialogo, Pietro snocciola al papa che aveva provocato le ire di Lutero, l’elenco delle sue nefandezze. Giulio II non le nega affatto, anzi, le conosce benissimo: solo che le interpreta per così dire diversamente. Lo fa ridere la nozione di cristianesimo evocata da Pietro. Lui, che ha così tanto edificato (in senso letterale) non può non considerare il cristianesimo che lo ha preceduto alla stregua di un mondo di poveracci: «Povero disgraziato», si rivolge a Pietro, «tu sei fuori del tempo! Ma ti credi sempre di vivere ai tempi di Gesù, e subito dopo, quando la chiesa era povera, piccola, cercava di imporsi con le virtù e via discorrendo. Ma dovevi venire a qualcuno dei miei trionfi! […] Che il grande Giulio sempre invitto si pieghi a un Pietro pescatore, per non dire altro, un quasi mendico, è una degradazione».

Giulio non si fece mancare nulla, è noto, e a parte il potere temporale guadagnato ed esercitato con la violenza e la corruzione, anche l’ambito della sua vita quotidiana, dall’avida e così poco austera intemperanza carnale, è segnato dall’invettiva di Pietro. Se va aggiunto che si tratta di un testo con una propria, precisa definitezza letteraria, che l’invettiva, il sarcasmo, il ribaltamento continuo dei punti di vista ne fanno un dialogo gustoso,  mentre ricostruisce la storia del testo la Seidel Menchi mostra come esso rappresenti soprattutto una chiara (“sovversiva“) presa di posizione contro la politicizzazione della Chiesa e la sua conseguente rinuncia al dettato evangelico originario. Un piccolo libro dalla fortuna laterale che aspetta di guadagnarsi quella di un classico.

(Erasmo da Rotterdam, Giulio, a cura di Silvana Seidel Menchi, Einaudi, pp. CXLIV – 176, euro 28)

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