“Transcendence” di Wally Pfister
di Francesco Vannutelli / 18 aprile 2014
Will Caster è il più importante studioso mondiale di intelligenze artificiali. I suoi esperimenti sono rivolti da anni alla realizzazione di una macchina che abbia coscienza di sé diventando simile all’uomo tramite le emozioni ma libera di accedere alle infinite potenzialità dell’informatica. Ci sta riuscendo, forse, ma mentre tiene una conferenza da rockstar sul futuro della biotecnologia un esponente di un’organizzazione terroristica anti-computer lo colpisce con un proiettile al polonio come parte di una serie di attentati contro i gruppi di ricerca informatica. Will sopravvive, ma le radiazioni lo uccideranno in fretta. È allora che decide di collegarsi, con l’aiuto della moglie Evelyn e dell’amico Max, al sistema che ha progettato per trasferire la sua coscienza all’interno della rete e sopravvivere come nuova forma metà uomo metà computer, con un potenziale illimitato di conoscenza e mezzi.
Wally Pfister si è fatto un certo nome nel cinema collaborando con Christopher Nolan. Il suo lavoro come direttore della fotografia gli è valso quattro nomination e un premio Oscar (nel 2011 per Inception). La cupezza nitida delle sue immagini ha contraddistinto la trilogia del Cavaliere oscuro e la visionarietà intricata di Nolan sin da Memento (è curioso ricordare che nel 1993 Pfister curò la fotografia del videoclip Nord Sud Ovest Est degli 883 per la regia di Stefano Sollima).
Di Transcendence Nolan ha detto, quando gli è arrivato il copione, che sarebbe stato il film perfetto per l’esordio in regia del suo storico collaboratore, e ha rinunciato quindi a dirigerlo riservandosi un ruolo da produttore esecutivo.
Deve volergli male, Nolan a Pfister, perché non poteva lasciargli un copione più approssimativo e caotico di quello dell’esordiente Jack Paigen. Cercando di fare della riflessione filosofica sui pericoli del progresso incontrollato, Transcendence condensa una serie di situazioni note al cinema di fantascienza sul rapporto con l’ultrauomo cybernetico, da HAL di 2001 fino al recentissimo Her, preoccupandosi solo di aggiungere l’elemento dell’ibridazione uomo-macchina prendendo molto in prestito da Ghost in the Shell.
Il messaggio vuole essere: diffidate delle infinite possibilità della scienza; potenzialità non è onnipotenza; l’arbitrio umano sarà sempre necessario, e superiore, al calcolo analitico di un computer. Ci sono però dei vuoti enormi per arrivare al messaggio. Il Will Caster interpretato da Johnny Depp, in concreto, non usa i suoi mezzi per sostituirsi alla natura, non cerca il dominio sulla libertà umana, pone solo la possibilità di scegliere l’interconnettività permanente, offrendo agli uomini che incontra di effettuare l’upload nel suo sistema operativo e diventare parte di un’unica rete. Non persegue mai il male, anzi, non sfrutta le sue illimitate risorse per bloccare i neoluddisti, che sono di fatti responsabili della sua rinascita cybernetica, che lo vogliono eliminare (tra l’altro, c’è del ridicolo nel considerare che gli estremisti antitecnologici utilizzino computer e cellulari per contrastare un uomo che controlla, o meglio, in sostanza, è tutta la rete informatica). Se ci doveva essere ambiguità in Caster, non traspare. Se ci doveva essere contrasto tra spirito umano e sostanza digitale, non si vede, perché a prevalere è invece un umanismo forse radicale nelle scelte e nei mezzi (creare una nuova natura umana implementata dalla tecnologia), ma positivo.
Ciò che conta alla fine è, tanto per cambiare, l’amore che anima, unisce e spinge l’agire umano. Con a disposizione un cast di livello, formato principalmente da fedelissimi di Nolan (eccezion fatta per Paul Bettany e Johnny Depp – ma si dice che il suo ruolo dovesse andare a Christian Bale), Pfister non azzarda una direzione degli attori lasciandoli vagare incerti e abbozzati lungo le righe della sceneggiatura. Non cerca mai il guizzo, la ripresa particolare, l’idea. Sembra che abbia paura di sbagliare e quindi si limiti al minimo per andare sul sicuro. Ha ottenuto il risultato opposto.
(Transcendence, di Wally Pfister, 2014, fantascienza, 119’)
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