“Il sale della terra” di Józef Wittlin

di / 20 maggio 2014

La guerra – che sia la Grande Guerra  cambia poco –, costante secondo molti inevitabile della storia umana, come fosse consustanziale alla sua famigerata “natura”, vista dagli occhi di un povero cristo, grottesco, imbranato assai, per niente attrezzato nemmeno dal punto di vista fisico: Il sale della terra, romanzo del 1935 di Józef Wittlin(Dmytrów, 1896-New York, 1976) racconta questo. E nei momenti migliori lo fa nella chiave poetica che ci si può aspettare dalla premessa: una percezione tragicomica della sciagura che apre e ci fionda verso l’abisso di una violenza prima psicologica e morale che sanguinaria. La guerra, la sua organizzazione, la costruzione stessa di un apparato militare si disegnano, ben prima che la parola diventi un paradigma della storia novecentesca, come un plumbeo frame totalitario. All’interno di questa cornice difatti si strutturano definiti rapporti fra il potere, la macchina bellica e le masse di disgraziati costretti a prendervi parte.

Che sia in certi momenti sgangherata – pensiamo all’esercito italiano – non cambia nulla, anzi; ne è un esempio il caso del più che subordinato Piotr Niewiadomski, protagonista del romanzo, che mostra come i rapporti con i suoi superiori non siano altro che una via sicura per vivere nel terrore. «Lo sapete cosa facciamo adesso ai disertori?», dice il gendarme incaricato di annunciargli che è arrivata l’ora di lasciare la sua avventizia occupazione di casellante (sarebbe in realtà un pastore) per andare a servire l’impero asburgico. «Procedimento sommario e una pallottola nel cranio», aggiunge. Piotr cerca di riprendersi dallo sgomento; il gendarme gli aveva appena letto l’incipit del foglio fatale: «Il signor Piotr Niewiadomski deve presentarsi alla visita di controllo», e quel “signore” gli era parso una tale lusinga.

Personaggio assimilato dalla critica allo Sc’veik di Jaroslav Hašek, declinazione pauperistica e miserabile dell’idiota dostoevskijano, emerge da questa traduzione di Silvano De Fanti (autore anche di una preziosa introduzione) non tanto come un “semplice” in cui riporre le sole possibilità di salvezza dalla ferocia dei potenti che della guerra sono responsabili. Il candore che lo contrassegna, intriso di distorsioni contadine cui si aggrappa per cavarsela nella durezza del mondo (fuori dalla sua portata) non è la premessa di una qualche redenzione ma la carne debole su cui un’epica tronfia e allucinata può dettare legge. Il corpo sottomesso, piegato e piagato alle necessità belliche è innanzitutto materia cerebrale, ferita psichica e biologica: «all’improvviso la parola guerra fece una capriola nel suo cervello e cadde dentro l’aorta. L’avrebbe fatta scoppiare se il sangue non l’avesse trasportata al cuore. Da lì si aprì un varco verso la pancia e qui si esaurì con un dolore acuto, come una trafittura di spada». Milioni di corpi sono assoggettati all’arbitrio di un dominio che prima di manifestarsi nella violenza fattuale delle armi si esercita con il senso di una minaccia costante, opprimente – totalizzante, appunto.

E la prosa di Wittlin nel tentativo di dire tutto sembra rischiare, come si vede, esiti retorizzanti, ma tiene all’erta i sensi con passo robusto, di grande impatto plastico, che pur non lesinando aggettivazione sontuosa, enumerazioni reiterate, e nella traduzione persino una spiccata sensibilità fonica, si mantiene credibile, capace di sondare in profondità e con satirica intelligenza la tragedia della guerra. Cui l’autore oppone una prudente, perplessa speranza francescana e pacifista che l’ironia mai banale sorveglia da una distanza che è solo di chi ha molto vissuto e imparato senza abbracciare la noia mortale del cinismo.

Uscito nel 1935 e concepito come primo di una trilogia, il libro esce nella collana di classici centroeuropei Gli anemoni della casa editrice Marsilio. Cosìl’ebreo galiziano di lingua polacca Józef Wittlin trova un suo degnissimo posto nella ricezione italiana di quella strepitosa congerie culturale che con il nome di Mitteleuropa segna di una fascinazione senza pari la prima metà del Novecento.

(Józef Wittlin Il sale della terra, a cura di Silvano De Fanti, Marsilio, 2014, pp. 398, euro 23)

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