“Everyday Robots” di Damon Albarn
di Tommaso Di Felice / 26 maggio 2014
Sono passati esattamente vent’ anni dall'uscita di Parklife, album che ha segnato gli anni ‘90 con pezzi come “Girls & Boys”, “This is a low”, l'omonima “Parlife” e “To the end”. Un disco collegato a quella battle of britpop combattuta, tra musica e insulti vari, dai Blur e dagli Oasis, i quali nel 1995 avevano donato ai fans un capolavoro come (What’s the Story) Morning Glory?. Nonostante in principio non ci fossero particolari inimicizie, nel giro di un anno le cose cambiarono, sopratutto a causa dei tabloid britannici e degli sponsor. Questo poco ci interessa, anche perchè è storia assai nota, vecchia e sepolta.
Ma parte di questo periodo così fecondo dal punto di vista musicale inglese è dovuto anche a Damon Albarn, il frontman dei Blur e dei Gorillaz. Accantonati già da qualche anno questi due importanti progetti, il cantante londinese ha deciso di riprendere la carriera da solista. Un percorso è iniziato ben dodici anni fa con Mali Music, album nato dalla collaborazione con diversi artisti africani.
Dopo Democracy e Dr. Dee, lo scorso 25 aprile è uscita l'ultima creazione di Albarn, Everyday Robots. Il disco è composto da dodici tracce ed è un viaggio nella mente, nei pensieri e nel passato del cantante: nonostante ciò, non appare autoreferenziale, non è chiuso in qualche cassetto. Piuttosto, il suo sembra essere un modo di confessarsi al pubblico, come se volesse fare un bilancio di questi quarantasei anni di vita, compresi i ventitré anni di carriera. Ci sono riflessioni intime e nostalgiche di un passato fatto di successi e debolezze personali. L’omonima “Everyday Robots”, canzone che apre l'album, esprime il pensiero di Albarn sulla nostra società, malata di tecnologia e isolamento:«We are everyday robots on our phones, in the process of getting home. Looking like standing stones, out there on our own. We are everyday robots in control, or in the process of being soul. Driving in adjacent cars, ‘til you press restart». Il video di questo primo singolo è stato affidato all'artista e desgner Aitor Throup, il quale ha realizzato un ritratto digitale del cranio di Damon.
Come detto, numerosi sono i brani introspettivi e nostalgici come ad esempio “The History Of A Cheating Heart” o il più romantico “The Selfish Giant” dalle sonorità stranamente soul che racconta le vicissitudini di una coppia consumata dal tempo. Il frontman dei Blur parla anche apertamente della dipendenza dalle droghe, dopo aver recentemente affermato come gli effetti dell'eroina lo abbiano aiutato a comporre ottime canzoni. Lo fa in “You And Me”, ma non ostenta vanità ma un timido pentimento, come se quel periodo fosse ormai troppo lontano da lui.
Albarn non ci risparmia niente, nemmeno i ritmi caraibici e africani di “Mr. Tembo”. Il brano vede la partecipazione del coro Pentacostal City Mission Church of Leytonstone ed è stata registrato in onore di un piccolo elefante che il Nostro ha incontrato circa un anno fa in uno zoo della Tanzania. Forse l'unico pezzo allegro e spensierato, aiutato da melodie vivaci. L’opposto di quanto avviene invece in “Lovely Press Play” e “Hollow Ponds”, candidati a diventare i veri trascinatori di questo disco grazie alla loro malinconica bellezza.
Tirando un po’ le somme, Everyday Robots è il coronamento ma non la chiusura di una bella carriera: una confessione sincera e matura, uno sguardo al passato rivolto anche al futuro, senza rimpianti. Certo, ogni tanto si sente la mancanza di certi ritmi britpop, ma le nuove esperienze musicali e i diversi stili del nuovo Albarn non fanno rimpiangere ciò che è stato. Forse. Magari ne riparliamo questa estate dopo il concerto che terrà all'Auditoriom di Roma.
(Damon Albarn, Everyday Robots, Parlophone, 2014)
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