Il cinema popolare e il Festival di Roma
di Redazione / 16 ottobre 2014
Sarà un’edizione dedicata al pubblico e agli spettatori questa nona del Festival Internazionale del Film di Roma. Al suo terzo anno, il direttore artistico Marco Müller ha deciso di aumentare la vocazione popolare della kermesse romana ponendo il giudizio del pubblico al centro della manifestazione. Non più giuria di qualità, quindi, non più registi o attori internazionali chiamati a presiedere i gruppi di giudizio. Ad assegnare i premi saranno esclusivamente gli spettatori, votando i film a caldo al termine delle proiezioni. Niente più Marco Aurelio d’oro, quindi, né giurie collaterali, solo premi del pubblico.
Il cammino che ha avvicinato il Festival Internazionale del film di Roma all’attenzione del grande pubblico è iniziato da anni, dalle grandi anteprime della serie di Twilight fino alla passata edizione, all’insegna di Scarlett Johansson e di Her, del secondo capitolo di The Hunger Games e dell’apertura affidata al tentativo di Giovanni Veronesi di replicare i fasti della commedia all’italiana con L’ultima ruota del carro. Eppure, la presenza di una giuria di qualità aveva continuato a portare a una netta cesura tra il consenso popolare e i premi assegnati a fine manifestazione anche nelle edizioni targate Müller, con titoli che nella maggior parte dei casi non sono stati in grado di lasciare alcun tipo di impronta, né al botteghino né nella cultura generale (l’anno scorso ha vinto Tir, di Alberto Fasulo, due anni fa si era scelto di premiare E la chiamano estate di Paolo Franchi, entrambi avendo deluso sia il pubblico che la critica).
La decisione del direttore artistico e del presidente Paolo Ferrari per il 2014 è stata quindi definitiva: basta idiosincrasie, ha ragione il pubblico, viva il pubblico, il pubblico è sovrano e premia. Sopravvivono solo la giuria per decidere la migliore opera prima e il miglior documentario italiano.
Dopo anni passati a vagare alla ricerca di un’identità contesa tra vocazione autoriale e successo, Roma ha scelto di schierarsi dalla parte della platea. Ci sarà da vedere se sarà una scelta destinata a durare per le prossime edizioni, vista la perenne indeterminatezza del Festival dell’Auditorium.
Nel programma, quindi, si è puntato sopratutto su film in lingua inglese e su pellicole italiane, cercando di raccogliere sul tappeto rosso vecchie e nuove glorie del cinema internazionale, da Kevin Costner a Richard Gere, da Benicio Del Toro a Willem Dafoe, passando per le nuove dive Rooney Mara e Lily Collins, e volti noti del grande schermo italiano. E se i premi speciali andranno a registi lontani dalla grande notorietà come il giapponese Miike Takashi (Maverick Director Award per lui), il russo Aleksej Fedorčenko (premio Marc’Aurelio del futuro), con l’eccezione del Marc’Aurelio alla carriera che andrà al brasiliano Walter Salles (che ha 58 anni), ecco riequilibrare la prospettiva verso il pubblico con il Marc’Aurelio Acting Award a Tomas Milian, che viene presentato sì come interprete per registi come Visconti, Pasolini, Maselli o Zurlini, ma che ha conquistato imperitura gloria nei panni di Er Monnezza.
Superata la giuria, si superano anche le distinzioni tra film in concorso e fuori concorso. Ogni film presentato può essere votato dal pubblico per i premi finali. Sarà un premio per ogni categoria, con delle suddivisioni totalmente nuove. Delle precedenti sezioni rimane solo Prospettive Italia, riservata ai nuovi linguaggi del cinema italiana. Gli altri film sono raggruppati in Mondo Genere, riservata a film appartenenti ai più diversi generi cinematografici, tutti in anteprima mondiale, nazionale o europea, tra i quali spicca Nightcrawler di Dan Gilroy con Jake Gyllenhaal, già visto a Toronto e di cui si parla già per la notte degli Oscar; Cinema d’oggi, in cui sono stati selezionati lungometraggi di autori sia affermati che giovani, scelti principalmente tra i film in anteprima mondiale; e soprattutto la sezione Gala, che raccoglie film «popolari ma originali» in anteprima. È qui che si concentrano i grandi titoli, è a questa sezione che Müller e soci puntano principalmente. C’è Gone Girl di David Fincher (ancora da confermare la presenza del regista e dell’interprete Ben Affleck); c’è Love, Rosie, che in Italia diventerà #ScrivimiAncora, destinato a un grande successo tra i giovanissimi; la storia del signore della droga Pablo Escobar interpretato da Benicio Del Toro; l’anteprima integrale della serie The Knick, diretta da Steven Soderbergh e interpretata da Clive Owen; l’omaggio a Philip Seymour Hoffman con la proiezione del suo ultimo film, La spia – A Most Wanted Man. E poi il cinema italiano, a cui è affidato il compito di aprire e chiudere il festival.
Cinema italiano di chiara e immediata identità popolare, con Soap Opera, l’ultima commedia di Alessandro Genovese con Fabio De Luigi e Diego Abatantuono, chiamato a inaugurare il red carpet, e Andiamo a quel paese di Ficarra e Picone selezionato per la serata di chiusura del 25 ottobre. Film difficili da digerire nell’ottica di un festival cinematografico che hanno quegli elementi tipici che preludono il successo al botteghino. Soap Opera, con il suo impianto teatrale, gli elementi abbozzati tra il surreale e il favolistico, aveva lasciato sperare nei primi minuti in un tipo nuova di commedia, con Fabio De Luigi per una volta non confinato nel ruolo dell’imbranato e un avvio sicuramente innovativo (basta la sequenza dei titoli di testa), ma la tentazione di volare alto viene accantonata in fretta per tornare sui terreni più classici e convenzionali e, di conseguenza, affidabili. Ecco: ad Alessandro Genovesi, che le sue idee ce le ha e sono pure interessanti (ha scritto Happy Family di Gabriele Salvatores, e questo Soap Opera in alcuni elementi generali lo ricorda), è sembrato mancare il coraggio di osare di più.
Ancora una volta, quindi, il Festival Internazionale del Film di Roma cambia se stesso per cercare un’identità che possa essere definitiva. Il direttore artistico Marco Müller ha frenato la sua proverbiale passione per il cinema asiatico e, in generale, per i nuovi linguaggi internazionali, scendendo a un compromesso di popolarità con cui si auspica di sollevare le sorti di una manifestazione alla perenna ricerca di un equilibrio e di una collocazione nel panorama cinematografico internazionale.
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