[RFF9] “La spia – A Most Wanted Man” di Anton Corbijn
di Francesco Vannutelli / 26 ottobre 2014
Ultima grande prova di Philip Seymour Hoffman prima della prematura scomparsa dello scorso febbraio per il giorno conclusivo del Festival Internazionale di Roma. Dopo essere passato per i festival di mezzo mondo (a gennaio scorso era in concorso al Sundance), A Most Wanted Man arriva all’Auditorium nella sezione Gala.
Ad Amburgo un’unità speciale, e non ufficiale, dei servizi segreti vigila sulle attività della comunità islamica presente in città. In particolare, l’attenzione si concentra su un giovane appena arrivato clandestinamente dalla Turchia. È Yssa Karpov, un ceceno figlio di un militare russo arrestato per una serie di attentati contro gasdotti e strutture energetiche. In Germania non conosce nessuno, ma ha un nome da contattare, quello di un grande banchiere, Tommy Brue, che conserva l’eredità del padre. I servizi lo seguono per capire se è arrivato ad Amburgo per collegarsi al terrorismo islamico europeo o solo per fuggire dalle torture russe. Diventerà un elemento centrale in un’inchiesta più grande, che coinvolge un grosso benefattore musulmano sospettato di contatti con il mondo terroristico.
È il nono film tratto dai romanzi di John Le Carré, il ventunesimo se si tiene conto delle produzioni televisive. Un bacino eterno, quello della letteratura spionistica dell’ex agente segreto britannico, che era stato in servizio proprio ad Amburgo, tra le altre destinazioni. In Italia, A Most Wanted Man è stato pubblicato da Mondadori con il titolo Yssa il buono. Per il film si è deciso un più generico La spia, probabilmente per assonanza con l’ultimo lavoro di Le Carré portato sul grande schermo, La talpa. Alla terza regia dopo l’ottimo Control e il trascurabile The American, Anton Corbijn costruisce un thriller spionistico sfumato di politica internazionale classico e solido. Fotografia livida e cupa, grandi alberghi che si alternano a locali sordidi, cielo grigio, pedinamenti e sequestri. C’è tutto il repertorio. Reggendo la tensione investigativa con equilibrio, dilungandosi eccessivamente nel rapporto tra l’avvocatessa e Karpov, Crobijn confeziona un thriller elegante e coeso, anticonvenzionale nel suo rifiuto di qualsiasi momento di azione e spettacolo. È questo l’elemento da sottolineare. Le spie di Amburgo non sono uomini da pistole in pugno e omicidi a mani nudi. Niente acrobazie alla Mission Impossible, niente sangue freddo alla Bourne, nemmeno i complotti di La talpa. Sono degli organizzatori, dei tessitori di trame, dei costruttori di scenari in cui far muovere le loro pedine. Sono architetti del sospetto.
Sul sistema di istituzioni e servizi segreti, agenzie ufficiali e controllo statunitense, si proietta l’ombra della paranoia post undici settembre che continua a serpeggiare nelle relazioni internazionali di tutto il mondo e a sancire l’impossibilità di fiducia e reale convivenza pacifica, priva di sospetto, tra il mondo occidentale e l’Islam.
L’unità guidata dal Günther Bachmann di Philip Seymour Hoffman lavora in autonomia dalle istituzioni, ma in costante contatto. Sono gli Stati Uniti, però, attraverso un funzionario dell’ambasciata a Berlino, a controllare tutto. Sono stati loro, alcuni anni prima, a far crollare la rete di contatti di Bachmann a Beirut e a costringerlo di fatto al rientro. Sono loro, nella sostanza, a determinare le operazioni di intelligence anche nei paesi europei.
Bachmann crede di pilotare un sistema in cui riesce a coinvolgere l’avvocatessa per i diritti dei rifugiati politici che per prima aiuta Karpov e Brue, ma è solo un elemento. In mezzo rimane Yssa, combattuto perennemente tra le sue identità, russo e ceceno, islamico nel nome ma russo nel cognome, rifugiato e latitante.
Philip Seymour Hoffman rende un Bachmann sgualcito e compassato, tutto sigarette e superalcolici, su cui pesa perenne il senso del lavoro che svolge. Lo allontana con il distacco, con l’indifferenza. Intorno a lui, ad accompagnarlo nell’ultimo grande ruolo (e sono stati troppo pochi i ruoli da protagonista) si muovono bene Willem Dafoe, Rachel McAdams, Robin Wright e la tedesca Nina Hoss.
(La spia – A Most Wanted Man, di Anton Corbijn, 2014, thriller, 121’)
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