“Egomostro” di Colapesce
Un viaggio nell’ego della musica italiana di oggi
di Federico Lorenzelli / 18 febbraio 2015
A tre anni dall’esordio con il concept album Un meraviglioso declino, premiato con la Targa Tenco come miglior opera prima del 2012, Lorenzo Urciullo in arte Colapesce torna con l’originale e più introspettivo Egomostro.
Prodotto a quattro mani con Mario Conte, che viene dalla recente collaborazione con Meg, Egomostro è un’evoluzione musicale del suo fratello più giovane; i tre anni passati sui palcoscenici e la crescente e più che meritata fama hanno permesso al cantautore siciliano l’inclusione di musicisti esperti nella sua ultima fatica.
Ci sono il batterista Fabio Rondanini (da poco negli Afterhours, in precedenza ha collaborato con Niccolò Fabi e i Calibro 35), il bassista Giuseppe Sindona (Mario Venuti e City Life), il polistrumentista Alfredo Maddaluno (che ha suonato con Atari, Meg e Fitness Forever), poi Vincenzo Vasi (collaboratore di Vinicio Capossela), Benz (Vinicio Capossela e Meg) e il sassofonista Gaetano Santoro (Aretuska).
A guadagnarci in spessore e qualità è stato il corpo, multiforme, della sezione ritmica, già punto di forza nell’album d’esordio. Gli arrangiamenti si ispirano a quelli già apprezzati in Un Meraviglioso Declino, ma poi si sviluppano, crescono, cambiano, stravolgendo la traccia e l’ascoltatore. I frequenti cambi di registro spaziano dalla musica elettronica graffiante, a chitarre acustiche, fiati e tastiere, fino all’utilizzo di theremin, chitarre elettriche, drum machine e archi. E questa molteplicità di arrangiamenti non è limitata soltanto al cambio fra una canzone e l’altra, ma si ritrova diverse volte all’interno degli stessi brani. E tutto scorre con fluidità, freschezza, accompagnato da liriche che si sposano alla perfezione con il mood ora rilassato e consapevole di sé, ora nervoso, ora malinconico. Già, perché in questo avanzamento musicale Colapesce ha però mantenuto invariata, ed è un bene, la sua singolare malinconia: quella capacità di rendere lampanti dei concetti semplici (e solo a volte banali), soltanto pronunciandoli alla sua maniera, con il proprio tempismo, ripetendo o rimarcando le parole: «stavolta non consulto più nessuno. Amare e basta e lo faccio a testa alta, amare e basta e lo faccio a testa alta».
L’Egomostro è il suo mostro personale, ed è il mostro di questa società, una moltitudine di ansie, ossessioni, paure: ansia di successo, ossessione per la fama e paura di dover rispettare le aspettative; il prezzo da pagare per questa crisi sociale e di valori, questa depravazione dell’Io.
Ma è anche un insieme di ammissioni, convinzioni e autocritica: Colapesce risponde con una spiazzante e chiara semplicità a queste pressioni, a questi comportamenti sociali: la necessità di sgonfiare il proprio ego.
L’album inizia con i trentatré secondi di “Entra pure”, l’invito di Colapesce ad entrare nel proprio “Io”. Con un’indecifrabile melodia, il cantautore domanda al suo interlocutore, a questo “ospite” cui si accinge ad aprire le porte del proprio Ego, se sia già frenato dalla paura di ciò che vedrà: «Hai un fucile già carico, carico a paure che vuoi spararmi contro?».
Il secondo brano, “Dopo il diluvio” è il primo di quei cambi d’atmosfera di cui sopra, e parte con una graffiante miscela di musica elettronica e fuzz: «un’esperta di filosofia, poi ti eviti quando si tratta di esistere. Separiamo la malinconia, ci aiuterà; non sono qui per sorprenderti». Il pezzo è poliedrico e al suo interno cambia diverse volte. Passa a chitarre acustiche miste a tastiere, per poi riprendere, stratificandosi, le sonorità iniziali fino a divenire una somma di tutto, in un continuo crescendo e diminuendo.
Con “Reale”, terzo e accattivante brano, Colapesce torna a sonorità più pop e si mantiene uniforme nel suo corso, con efficaci interventi dei fiati. Prima presa di coscienza e abbandono di quell’ammorbamento dell’Io, «stavolta non consulto più nessuno. Amare e basta e lo faccio a testa alta. Non serve l’ipnosi regressiva, non serve un mago, è solo la vita».
Il quarto motivo, la delicata “Sottocoperta”, si contraddistingue per l’essenzialità dell’arrangiamento. Chitarra acustica, una batteria quasi assente, ma efficace, l’uso del theremin e un testo capace di dipingere con malinconia immagini e sensazioni: «sottocoperta, odore di cannella misto a gelsomino e tela, i tuoi vestiti bandiere di resa».
Arriviamo quindi alla quinta traccia, da cui il titolo dell’album: “Egomostro”. Un altro pezzo uniforme, ma con trovate interessanti. Chitarre elettriche in stile Strokes, con intermezzi di fiati, danno sonorità d’oltre oceano ad uno dei brani più pop dell’album.
“Le vacanze intelligenti”, con il suo tappeto di synth e le sue sonorità elettriche, precede uno dei singoli di lancio dell’album, “L’altra guancia”; un brano minimal, tenue, un’atmosfera riflessiva e tanto spazio per la voce e i testi: «difendiamo le idee, con il fiato e con le labbra».
“Copperfield” inizia con percussioni tribali, un synth di sottofondo, poi una chitarra e nel finale gli archi e diventa un susseguirsi di sonorità piene a sonorità vuote.
La bella e aggrappante “Brezsny” (difficile non fischiettare il suo motivo), un mix di ripetizioni prolungate di accordi alla tastiera, chitarre, archi e fiati, e variazioni ritmiche, anticipa la più pensierosa e riflessiva “Sold out”; su un accompagnamento ancora una volta minimal, ma non privo di cambi di registro, Colapesce ci parla delle problematiche delle relazioni ossessive del nostro tempo, quello dei social: «Un insieme di mancanze mi tengono distante da te. Su Skype sei assente, rileggo conversazioni azteche». Tematiche poi riprese anche in “Passami il pane” penultimo brano che inizia come una sorta di gospel digitale e si mantiene costante nella ripetizione di sonorità e liriche: «la verità è che è cambiato tutto il resto, ed un particolare può diventare un universo. Sentenze più luoghi comuni, il cancro di una relazione».
“Mai vista” è un altro brano che parte piano e cambia in corso mischiando suoni elettronici a chitarre e che ci conduce verso il secondo singolo di lancio dell’album, “Maledetti italiani”. Una critica all’italianità e a tutti i comportamenti sociali che ciò comporta, «la Mafia è diventata pop(olare), la musica fa vittime», e una sua presa di distanze («Non sono un italiano vero»), confezionano uno dei brani meglio riusciti di Egomostro.
L’album si chiude come è cominciato, riprendendo in “Vai pure” quella misteriosa melodia già ascoltata nell’ intro, con la quale Colapesce ci congeda dal proprio Io. «Meravigliosa sarai, amore e fine hanno in comune l’età. Con un leggero malessere riconquistiamo la bellezza».
In definitiva a farla da padrone nella seconda fatica di Colapesce è la produzione e la varietà, se non ricchezza, degli arrangiamenti, che riescono spesso ad elevare e dare maggiore spessore ai contenuti e a volte, ma solo a volte, a salvarli dalla piattezza in cui rischiano di scivolare.
LA CRITICA
Dopo tre anni di silenzio discografico, Colapesce torna con un album solido, dalle sonorità mai scontate e originali. Una scommessa riuscita di chi ha voluto uscire dai canoni classici del cantautorato italiano per raccontare sé stesso e il proprio Paese. Ben fatto.
Comments