“Se mi cerchi non ci sono”
di Marina Mizzau

Un libro capace di rendere la delicatezza vitrea dei rapporti umani

di / 20 maggio 2015

Buio in scena. Il bagliore di una bara è tutto quello che rimane; il cielo e il fondale strizzano il mezzo come un boccone di nuvole. E dietro al feticcio di legno, il corteo dei superstiti, che sciama di buon grado con in spalla il dolore d’occasione. Il tipico strazio del “sano e salvo”. Perché se riesci a guardarla quella scatola muta, vuol dire che non sei dentro. Almeno stavolta.

Come in Mi riconosci di Andrea Bajani, sono delle esequie la mossa di apertura del romanzo di Marina Mizzau Se mi cerchi non ci sono (Manni, 2015), tra i dodici finalisti del Premio Strega di quest’anno.

Leonardo, il defunto, come spesso avviene, è un nodo di rapporti. Un punto di raccordo in cui si congiungono e si giustappongono una sfilata di nomi e di volti. Tutti scoperchiati da questa sepoltura.

Leonardo era/è (perché il tempo degli affetti, forse, è un eterno presente) doppiamente marito di Antonia ed Elisabetta, variamente padre, fratello di Marta e Maria Teresa, zio, mentore, amico, amante.

Una figura su più livelli, un professore, un uomo di studi e di osservazioni acute. Lo si evince dai ricordi dei vivi, dall’arcipelago di inezie denominate “vita”. Tutti concorrono all’opera immane di ricostruzione.

E il risultato in fieri è un pavimento dissestato, il mosaico sbavato di chi crede di sapere più dell’altro, di preservare il brandello più autentico, il cimelio di verità defluito in un aneddoto.

Ognuno vorrebbe proclamarsi il tesoriere di Leonardo, dei suoi gusti, dei suoi fastidi, dello spettro dei suoi umori. La ragione è di nessuno e ovviamente di tutti, perché a ognuno Leonardo ha dispensato uno spiraglio di se stesso, tanto da indirizzare a ciascuno una lettera, un testamento emotivo in cui ricapitola il sapore del loro legame, l’angolazione inaspettata della loro immagine, il taglio obliquo di uno sguardo scomodo e infilzante. Perché in queste mail lo specchio si rovescia ed è proprio lui il forziere, l’occhio e il cuore in grado di risvegliare fratture e sussulti dei loro incontri.

Gli amori falliti e quelli mancati delle sue sorelle, la paternità coraggiosa di Elettra e quella acquisita di Alessandra, le amicizie tradite, tutti dettagli sciorinati in più di sessant’anni che all’improvviso diventano larghi meno di un pugno.

È lì Leonardo, nel moto oscillante di quelle chiacchiere, nel cibo inframmezzato di polemiche, nella scelta di un ristorante dopo la tumulazione. E tutti lo evocano, lo cercano con foga, insistendo in quel tiro alla fune di frantumi pescati, ritrovandovi lo scheletro del proprio accento. Perché la storia continua sulla fine di un’altra. E spesso, accorgersi di qualcuno, vuol dire solo confermarne la scomparsa.

Se mi cerchi non ci sono,  come sospira il titolo, mutuato da un classico esempio della crittografia: un trittico di C che in realtà non sono lettere, ma appunto semicerchi. Cercare implica sempre un altrove insospettato, enigmistico, un attraversamento della maschera gentile.

Non arrestarsi mai alla prima forma e nel fosso dell’assenza rinvenire l’istinto della memoria, come motore unico della conservazione. Come principio di ogni racconto.

L’autrice restituisce la delicatezza vitrea dei rapporti umani, senza concedere neanche un rigo di eccesso, con un linguaggio essenziale, stringato, spesso ironico, sagomato abilmente per sottrazione, che riscontra il suo momento migliore nei messaggi di Leonardo ai suoi cari, in particolare alla sua seconda moglie: «Che cosa avevo, ti ho dato? La mia saggia solidità in cambio della tua giovane e incantata provvisorietà. Nella quale forse tu e tua figlia sareste state più felici. Ho capito tardi che avrei potuto darti di più, se ti avessi permesso di chiedermelo, di farmi capire che lo volevi. Adesso vorrei dire le parole che non sono state dette, riempire i silenzi, quelli che sanno di rimprovero, o di sfida o di paura o sospesi nell’inerzia. Silenzi che restano, che segnano il tempo di una sera, o di un viaggio».

Il punto di vista, la cauta e sottile voce narrante, è quella di una studentessa, un’allieva di Leonardo impigliata nel suo fascino, continuamente presente eppure sempre al margine, che gli regalerà il piacere di quel rebus, tanto in rima col senso del destino.

Al di là della vertigine profetica, pensando a Se mi cerchi non ci sono, è difficile immaginarlo sul podio dello Strega. Potrei sbagliare e comunque sarà un bene, ma il suo posto non ha clamore intorno.

Ha lo stesso ritmo del respiro, quieto, inevitabile, sincero come l’aria che sposta. La quotidiana durezza di quello che ci impatta. E che ci trascende non appena ci appartiene.

 

(Marina Mizzau, Se mi cerchi non ci sono, Manni, 2015, pp. 204, euro 17)

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LA CRITICA

Una storia che si avvia appena tocca il capolinea. Il funerale di un uomo risveglia le vite che gli orbitano intorno. Con semplicità lampante, profonda e mai scontata.

VOTO

7,5/10

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