“Dante” di Ezra Pound
Uno dei più grandi poeti del Novecento esplora, ripensa e riscrive Dante
di Michele Lupo / 25 maggio 2015
L’Everyman è un po’ il centro delle riflessioni che negli anni Ezra Pound ha dedicato a Dante. L’uno di tutti piuttosto che il tipo medievale di una contingenza storica (benché, il caso di dire, epocale), l’uomo in quanto tale che attraversa l’oltremondo non come una serie di luoghi ma di stati mentali. Da qui, si irradiano gli sviluppi ulteriori di una passione durevole e per certi versi propedeutica all’ermeneutica dantesca successiva. Il libro su Dante con cui abbiamo a che fare e che reca appunto la firma di Pound, è rimasto per parecchio tempo “potenziale”: ce ne raccontano la lontana scaturigine, da un antico progetto di Scheiwiller, e l’accidentato processo, i curatori Corrado Bologna e Lorenzo Fabiani. Essi hanno riunito tutti gli scritti di Pound sull’argomento per l’editore Marsilio e ne è venuta fuori un’edizione tanto filologicamente accurata quanto tipograficamente elegante.
Nel primo dei saggi presenti nel volume Pound riassume un po’ il cammino del poeta-personaggio nella Commedia (sebbene egli si rifiuti di definirlo un riassunto). Attraverso le figure che incontra compara Dante ad alcuni poeti di lingua inglese e solo Shakespeare, va da sé, sembra reggere il confronto. Nell’insistenza del paragone, l’inglese «sembrerebbe avere maggiore capacità di dipingere l’umanità nei suoi vari aspetti» ma «quando si viene al puro suono Dante è in vantaggio». Peraltro Pound trova Dante impareggiabile proprio nella comparazione, intesa come esercizio variegato di metafore e similitudini – forse per empatia gli stessi curatori non riescono a esimersi dal ritenere i soli Cantos del poeta americano opera leggibile «come una Divina Commedia del nostro tempo».
Ora, considerazioni del genere i più non le riterrebbero esattamente esempi di vera critica; Contini non sembrava impressionato dallo sguardo di un poeta deciso invece a mostrarsi consapevole del materiale d’uso, metrica, tecnica e storia della poesia comprese (a partire dall’influsso dei provenzali sulle vicende letterarie in terra toscana, variazioni che portano la poesia medievale dagli stilnovisti – chiaramente orientati ad allontanarsi «dall’imitazione fin troppo servile» – fino a Dante). Anzi, al riguardo il grande filologo aveva molto da ridire: e non solo perché poteva fargli velo l’orrore per il fascismo dell’ingombrante poeta americano, ma perché l’avvicinarsi avventuroso di Pound a discipline severe come l’ecdotica non poteva non infastidire un professionista del suo calibro. Era già successo quando Pound si era cimentato in un’impresa analoga con Cavalcanti (studiato non meno di Dante): lì a picchiare duro era stato Mario Praz. I due curatori del volume non negano il dilettantismo di Pound ma su una linea passante da Anceschi, Sanguineti e Alfredo Giuliani preferiscono soffermarsi sull’intuizione che trascina Dante fuori dall’accademia o dal mero storicismo consolatorio per farne un poeta vivo «e scandaloso di lingua e di scrittura» (Pound dal canto suo quando si riferisce all’accademia parla di cloache). Una lettura appassionata la sua, durata tutta la vita.
(Ezra Pound, Dante, a cura di Corrado Bologna e Lorenzo Fabiani, Marsilio, 2015, pp. 202, euro 20)
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