“Cade la terra” di Carmen Pellegrino
Un esordio narrativo pienamente riuscito
di Claudia Gifuni / 24 giugno 2015
Alento è un anonimo fazzoletto di terra tra le montagne, un intreccio di sentieri polverosi adornati solo da casupole malferme e da misere stamberghe pericolanti. Molle è il ventre su cui riposa, scosso com’è dalle frane che agitano le pareti delle colline e che rischiano di coprire il paese con un sudario fatto di pietrisco. Le ferite inferte dalla natura alla fine di ogni scaramuccia sono visibili nei muri scrostati, nelle maioliche che cozzano l’una contro l’altra o nelle infiltrazioni che rendono marce le fondamenta delle case e le ossa degli abitanti. Eppure Alento non indietreggia, non abbandona queste radici instabili che lo fanno sprofondare ma, al contrario, si avvinghia a esse incurante della lotta impari che sta ingaggiando.
In Cade la terra (Giunti, 2015), finalista del Premio Campiello 2015, Carmen Pellegrino, alle prese con il suo primo romanzo, ci coglie alla sprovvista trasportandoci in uno spazio-tempo dalle fattezze neorealiste, la cui consistenza però è pari a quella di un sogno che inizia a disfarsi. Basta, infatti, avvicinarsi un po’ di più per scoprire che Alento, con tutti i suoi abitanti, non esiste. È un luogo immaginario, una bizzarra distopia ambientata nel passato o più semplicemente, la proiezione fisica di tutti i sentimenti che l’animo umano serra caparbiamente dentro di sé.
Con una prosa fluida, intessuta di citazioni poetiche, la scrittrice ci offre una visione onirica, talvolta persino cupa ma mai terrifica dell’Italia di provincia del secondo dopo guerra, in cui i personaggi si distaccano dalla dimensione corporea per assumere quella più leggera di ombre. A guidarci nel borgo in rovina, tra le storie che si susseguono, è Estella, probabile alter ego della Pellegrino nonché, nel romanzo, l’ultima alentese che si ostina a vivere nella parte vecchia del paese, quella martoriata dai cedimenti improvvisi della terra e pertanto, soggetta a sgombero coatto da parte delle autorità. Questa donna pervicace dal passato non proprio limpido – a diciotto anni scappa dal convento in cui viveva come monaca – non è altro che un tramite, un medium che ci aiuta a entrare in contatto con quei ricordi che altrimenti rischierebbero di rimanere soffocati da una patina di polvere.
L’esordio della Pellegrino nel mondo dei romanzi può dirsi a buon ragione pienamente riuscito, complice una prosa poetica piacevole che accarezza ogni pagina del libro e la sua capacità di rendere reale ciò che non lo è più perché dimenticato o abbandonato all’incuria del tempo.
(Carmen Pellegrino, Cade la terra, Giunti, 2015, pp. 224, euro 14)
LA CRITICA
Carmen Pellegrino scava nella memoria individuale per dare vita a un intenso romanzo corale che merita di essere letto e ricordato.
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