Nomi degli oligarchi sulla cartina della patria

di / 30 luglio 2015

Comitato interbancario delle tecnologie informative
                                     Strettamente confidenziale
Progetto di correzione dell’immagine corporativa
degli oligarchi russi.

 

Ogni regno, suddiviso dall’interno, morirà. Numerose volte abbiamo potuto verificare la veridicità di queste parole bibliche. Ma la linea di questa disastrosa frammentazione non passa necessariamente per una cartina, può anche passare attraverso le menti e le anime. Ciò accade quando una parte del popolo si stacca da un’altra e nella società nasce un conflitto tra i diversi strati sociali.
E per questo il compito principale dei mezzi d’informazione di massa nazionali, nell’epoca della crisi, è contrastare la comparsa di discordie e dissapori. A questo proposito, suscita particolare ansia una questione continuamente gonfiata dalla stampa, oligarchia e oligarchi. Ci sembra che il tono e la generale strumentalizzazione dei materiali relativi a questo argomento difficilmente possano giovare a istituire una concordia sociale.
L’idea principale della maggior parte degli articoli è questa: l’oligarchia è profondamente in discordia con gli interessi nazionali e i valori della Russia ed è una sovrastruttura parassita, chiamata in causa da un regime corrotto, che a sua volta è formato dalla stessa sovrastruttura parassita che egli stesso ha creato. E oltre al fatto che il modo di porre questa domanda è assurdo secondo una logica elementare, essa appare eccezionalmente pericolosa e provocatoria. Noi cercheremo di spiegare perché.
La parola “oligarchia” ha origini greche e significa “governo dei pochi”. L’oligarchia, ossia il consiglio dei ricchi, durante il quale non viene convocato il consiglio popolare, è stata introdotta nei governi greci molteplici volte (ad Atene, per esempio, il governo dell’Areopago, il governo dei “trenta tiranni”, ecc.), e molteplici volte veniva sostituita dalla democrazia, ossia il governo dei cosiddetti “demagoghi”. Le fonti storiche mostrano chiaramente che la società si volgeva verso il modello oligarchico proprio nei difficili tempi di caos e di discordia, mentre era in grado di sostenere la democrazia soltanto in brevi periodi di relativo benessere. Ma la sconfitta dei demagoghi rimaneva sempre il loro dramma personale, mentre la sconfitta degli oligarchi era gravida di forti sconvolgimenti. Gli oligarchi cacciati da Corinto e da Atene erano legati da un giuramento che suonava così: «Prometto di essere nemico del popolo e di nuocergli finché ne avrò le forze» [traduzione di R.U. Vipper]. Poi gli esuli si dirigevano nelle comunità nemiche e le istigavano ad attaccare la propria città natale.
Ci rendiamo conto che ogni analogia storica è una cosa azzardata. Ma immaginiamo: cosa succederebbe se tutti gli oligarchi russi, portati all’esasperazione dalla persecuzione dei mass media, si raggruppassero in una villa presso il viale Rublevskoe e pronunciassero un simile giuramento? Considerando tutte le risorse da loro accumulate nelle banche occidentali, comprendiamo facilmente quanto possa essere efficace la loro propaganda dopo la loro partenza.
Per questo oggi l’unico slogan possibile per mezzi d’informazione di massa responsabili è: «Il popolo e l’oligarchia sono uniti». Inoltre non deve essere sbattuto demagogicamente e stupidamente in prima pagina, come è tipico della propaganda comunista, ma deve di soppiatto penetrare nella politica di diffusione delle informazioni a livello nazionale.
La campagna dell’immagine, volta alla correzione dell’aspetto corporativo degli oligarchi, si divide in alcune fasi. L’obiettivo primario sta nel dimostrare a livello emotivo e del subconscio che l’oligarchia non è affatto un qualcosa di estraneo per la Russia, e le ricchezze create da numerose generazioni di russi non sono finite tra le fredde mani di speculatori indifferenti.
Per questo esiste il progetto “Nomi degli oligarchi sulla cartina della Patria”. In esso sono stati utilizzati i nomi dei centri abitati che per omonimia coincidono con i cognomi degli oligarchi (Potanino, Jumashevo, Berezki, ecc.). Questo permetterebbe di creare nei riceventi (soprattutto nella nuova generazione) un’idea stabile del fatto che le radici dell’oligarchia hanno sempre sonnecchiato nel suolo russo, ma sono riuscite a dare un germoglio sicuro e grintoso soltanto nel momento in cui il paese è stato riscaldato dal sole della libertà.
E in questo caso non si solleva la questione di una concreta relazione tra un certo oligarca e un certo centro abitato. La spinta si dà sul significato e sul ruolo del centro abitato nella storia della Russia: se ci sono state delle battaglie, se vi si sono svolti importanti fatti storici, se viene ricordato nelle byline o negli annali.
La realizzazione pratica di questa parte del progetto è una serie di programmi televisivi che presenta agli spettatori gli obiettivi scelti nell’estrema periferia russa, con un ampio reclutamento di etnografi e complessi locali di musica popolare. Contemporaneamente, con una grande tiratura viene pubblicata una bella cartina plastificata della Russia Omonimica, abbellita dai ritratti degli oligarchi (“omonimico” nell’etimologia popolare deriva da “Omon”, e da qui l’aggettivo prende il significato di “sicuro, uno dei nostri”).
Questa viene appesa negli stessi posti molto frequentati dove una volta erano appese la mappe politiche dell’Urss (bisogna prestare un’attenzione particolare perché sia presente in tutte le aule della scuola media).
Nel passaggio successivo i mezzi d’informazione di massa pubblicizzano ampiamente le visite degli oligarchi nei centri abitati omonimici. A questo evento si dà un carattere di festa popolare tradizionale. L’arrivo dell’oligarca viene accompagnato da festeggiamenti, passeggiate sulle trojka, gare di pugni, spettacoli con gli orsi, bagni nei fiumi ghiacciati.
Contemporaneamente, i mezzi d’informazione di massa mettono l’accento sugli aiuti economici che gli oligarchi danno ai villaggi gemelli. Vogliamo far notare che oltre ai costi della messa in onda questo non richiede altri finanziamenti. Sarà sufficiente dotare i centri abitati omonimici di un certo status economico.
Città e villaggi omonimici si abbelliscono con i busti degli oligarchi. E non deve esserci sfarzo, questi busti devono essere estremamente discreti ed economici. Nel frattempo, attraverso i mass media, viene delicatamente proposta l’idea che per semplici questioni economiche, il potere degli oligarchi viene a costare meno al paese rispetto a una qualsiasi altra forma di apparato governativo.
Per illustrare quest’idea si utilizza la seguente tesi: sia i comunisti sia i democratici hanno dimostrato che l’unica cosa che sono realmente in grado di fare sono rumorose campagne di cambiamento di nomi delle città, delle strade e delle stazioni della metropolitana (cosa che l’oligarchia non richiede, nascendo organicamente dalla toponimia russa), e un montaggio/smontaggio ciclico di giganteschi e costosi monumenti, cosa che l’oligarchia evita.
Considerato il crescente interesse verso il paganesimo, è possibile la celebrazione di riti pagani segreti: i busti di bronzo degli oligarchi di notte vengono spalmati di sangue di bue e miele, di fronte a essi viene portato in sacrificio un gallo bianco e vengono bruciate le statuette di legno dei nemici. I mezzi d’informazione di massa parlano di questi avvenimenti come di casi curiosi, al limite della legalità. Queste notizie hanno lo scopo di offuscare l’idea sempre avallata che il governo degli oligarchi restituisca lo spirito popolare alla culla tradizionale dei valori eurasiatici (indoeuropei).
L’installazione dei busti viene accompagnata dall’apertura dei musei degli oligarchi-gemelli di un paese o di una cittadina; anche questi modesti, con un’esposizione basata su una collezione di foto standard e una serie di regali con l’autografo. È gradita la presenza di una foto del giovane oligarca in uniforme con un campo di grano sullo sfondo (le moderne tecnologie rendono semplice questo compito). Nei mezzi d’informazione locali viene ampiamente spiegato che la costruzione dei musei crea nuovi posti di lavoro in un paese colpito dalla crisi.
I migliori pittori devono partecipare a un concorso per la creazione di un monumentale dipinto-avvertimento: Il giuramento degli oligarchi, una copia del quale deve essere presente nei musei e nei circoli di paese.
Al compimento della prima fase della campagna, quando la concezione di una “patria minore” nella coscienza di massa dei russi viene strettamente legata alla figura dell’oligarca, comincia la seconda fase, con il nome provvisorio di “ricerca della classe media”.
Viene comunicato che tutti i grandi sociologi, che sono in grado di guardare avanti almeno un po’, attualmente sono impegnati nella questione della possibilità di creare una classe media in Russia, senza l’espropriazione della proprietà privata, che non avviene mai senza spargimento di sangue. Viene attivamente sviluppata l’idea che questo compito non è risolvibile combattendo l’oligarchia. Nelle animate discussioni in televisione, emerge gradualmente la deduzione che non c’è bisogno di combattere l’oligarchia, ma al contrario, proprio la completa e definitiva oligarchizzazione di tutte le sfere della vita della società aiuterà a risolvere questo problema.
Le vie per una soluzione sono queste. È noto dalla storia che gli oligarchi annoiati dall’ozio grasso, sono propensi a creare degli harem e la loro prole è particolarmente numerosa, e spesso conta diverse centinaia d’individui. Quindi a causa dell’eredità avviene una naturale frammentazione della proprietà.
Se nell’arco di due o tre generazioni questo comportamento sessuale degli oligarchi sarà reso obbligatorio da un imperativo giuridico (considerando l’impossibilità dell’inbreeding), nel paese comparirà in modo più naturale la classe media, che deve diventare la base di un’autentica stabilità sociale. I mezzi d’informazione di massa devono sottolineare costantemente gli sforzi che gli oligarchi fanno per la creazione di una classe media; indubbiamente i racconti schietti di questa loro attività alzeranno lo share dei canali principali.
Non c’è bisogno di inventare la ruota: le forme che deve prendere questo processo sono già state create dall’uomo (il diritto alla prima notte, la consegna di un determinato numero di odalische da ogni unità territoriale, ecc.). Nel caso in cui la prole degli oligarchi dovesse tentare di ricostruire la proprietà secondo il modello feudale, bisognerà troncarli legalmente; qui finalmente la Duma di Stato potrebbe esercitare un ruolo serio e costruttivo.
Ovviamente questo processo sarà aiutato da un nuovo modello ideologico, che prenderà la fiaccola dal monetarismo, che ha già fatto la propria parte storica. L’ideologia del periodo di transizione deve diventare la teoria del consumismo oligarchico, che bisogna ancora elaborare. È necessario che tutti abbiano compreso che la dialettica dello sviluppo della Russia e il compito strategico della creazione della classe media, richiedono ai cittadini di tirare ancor più la cinghia, senza fare caso alle volgari manifestazioni di eccesso altrui. In base alla prontezza con cui aderiscono a tutto ciò, si misura la maturità dei cittadini e il loro grado di comprensione dei processi che avvengono nella società.
Non sarà così semplice portare ai russi questa idea in forma completa, ma non c’è il minimo dubbio che i rappresentanti dell’intellighenzia scientifica e artistica: economisti, pubblicisti e sociologi, osservatori televisivi e registi, artisti di varietà e letterati, risolveranno di nuovo brillantemente il compito che l’epoca gli assegna.

 

Traduzione di Ivan Yevtushenko.

 

 

Viktor Olegovič Pelevin è nato in Unione Sovietica nel 1962. Ingegnere di formazione, negli anni ’90 diventa scrittore di culto nello spazio ex-sovietico e uno dei maggiori esponenti del postmodernismo russo nel resto del mondo. In Italia è noto sopratutto per i romanzi Generation P (2000) e Il mignolo di Buddha (2001), entrambi editi da Mondadori. 

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