“Io, Gesù” di Robert Graves
Un’indagine sulle origini e insieme narrazione per credenti e non
di Chiara Gulino / 20 gennaio 2016
L’essere umano è destinato a oscillare eternamente fra conoscenza e ignoranza, fra presenza e assenza. Sono proprio i limiti del nostro sapere che ci spingono a un’ininterrotta ricerca di senso e a rendere necessaria la credenza in un’entità superiore.
Io, Gesù (Longanesi, 2015) del poeta, saggista e romanziere britannico Robert Graves (1895 – 1985) sono più di 500 pagine che i meditatori di poca o nessuna fede potrebbero trovare dure da digerire. È sicuramente un’opera di grande fascino, almeno per chi desideri non uno studio ma un racconto.
Graves ha messo ciò che sa al servizio della sua immaginazione, entrando e uscendo dalla Storia, saltando da episodi a miti antichi.
Ne è nato un excursus sulla vita di Gesù dalla nascita di Maria all’infanzia e crocifissione di Cristo, contaminando varie fonti, dai Vangeli apocrifi ai misteri antichi: greci, egiziani, celtici, sumeri e persino indiani.
Si accostano alla venuta di Gesù al mondo leggende del paganesimo a sottolineare il sincretismo fra vecchia e nuova religione. In questo contesto fioriscono le storie edificanti sui miracoli che accompagnarono la vita terrena di Gesù di cui Graves spesso ci fornisce una versione originale e più umanizzante.
Ad esempio, alla fine del racconto delle nozze di Cana, lo scrittore afferma: «Gesù e il maestro di cerimonie recitarono la loro parte con tale solennità e verosimiglianza da persuadere alcuni dei convitati, già ebbri, che effettivamente bevevano vino; e di conseguenza i crestiani gentili, i quali non si astengono dal vino né dal matrimonio, attribuirono a Gesù un volgare e inutile prodigio simile a quelli operati dai giocolieri siriani alle ferie!»
Sono le leggende come tele di ragno dentro cui lo scrittore ha tessuto caratteri e scene di grande potenza visionaria e tragica, come quella del dialogo fra Gesù e Maria l’Acconciatrice, modulato secondo i ritmi incessanti della domanda talmudica.
Risulta decisiva la questione del metodo con cui è costruita l’opera. L’autore instaura un gioco a due o più voci: la voce narrante, quella di Agabo il Decapolitano, un funzionario romano della fine del I secolo d.C., il carismatico e rivoluzionario Gesù e via via i personaggi intorno a lui, dai discepoli alla sua sposa Maria (ossia Maddalena) a Ponzio Pilato, imponendo al lettore una continua dislocazione dei livelli del discorso con conseguente effetto straniante.
Il risultato è quello di rendere più che umano il Messia tanto atteso, l’Unto del Signore, il capro espiatorio su cui addossare tutti i peccati del mondo, destinato ad essere l’origine del millenario contrasto fra ebrei e cristiani: «Il mio personale problema di ricostruzione è di gran lunga più difficile, poiché riguarda la storia, non il mito. E tuttavia la storia di Gesù dalla Natività in poi segue così da vicino quello che si potrebbe considerare uno schema mitico preordinato che in molti casi sono risuscito a supporre eventi che in seguito, per mezzo di ricerche storiche, ho dimostrato aver avuto luogo, la qual cosa mi ha incoraggiato a sperare che anche laddove il mio racconto non può essere corroborato da prove, non per questo sia del tutto privo di verità».
(Robert Graves, Io, Gesù, trad. di Adriana Dell’Orto, Longanesi, 2015, pp. 544, euro 22)
LA CRITICA
Il Cristianesimo è prima che una dottrina, letteratura. Noi conosciamo la storia di Gesù dal ritratto che ne fanno i Vangeli. Io, Gesù, libro del 1945, è un’indagine sulle origini e insieme narrazione per credenti e non.
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