“Interviste con il morto” di Dan Crowe
Scrittori famosi incontrano grandi icone del passato
di Simone Schezzini / 8 aprile 2016
«Tutti parliamo con i morti, quando sogniamo a occhi aperti conversazioni impossibili o quando ci rivolgiamo ai nostri cari defunti per chiedere conforto o consigli […] Cosi all’improvviso é arrivata come un dono, la mia idea bomba: chiedere ad autori viventi di intervistare i loro eroi letterari morti…»
Per la verità, un’idea non così originale questa avuta da Dan Crowe, già fondatore del trimestrale Zembla e del magazine Port, come del resto egli stesso ammette onestamente nell’introduzione di Interviste con il morto (66thand2nd, 2015) piacevole e divertente antologia di short stories da lui curata. Lo scrittore ricorda, infatti, che già nel I secolo d.C., Luciano di Samosata concepì i Dialoghi dei morti e che poi, a partire dal XVII, il genere fu largamente usato per scopi politici soprattutto in Francia mentre, circa un secolo dopo, in Inghilterra, Sir George Lyttelton immaginò l’intervista postuma a pensatori del calibro di Platone e Machiavelli.
E però, ciò detto, egli stesso riconosce che seppur non del tutto originale l’intuizione di Interviste con il morto si presentava sin da subito perlomeno buona e, indubbiamente, bisogna aggiungere, anche non priva di un certo fascino; soprattutto perchė, per usare le parole dello scrittore, ci consente di rispondere a domande importanti: cosa significa intervistare qualcuno che è morto? Vogliamo che i defunti ci diano informazioni? Che possano aiutarci e consigliarci? Dove sono? C’è un Dio? Auspichiamo che chiedano scusa? Vogliamo essere noi, piuttosto, a chieder loro scusa? In particolare, più di tutto, riconosce Crowe, intendiamo credere che dopo la morte sia ancora possibile parlare. Insomma, abbiamo bisogno di credere che ci sia vita dopo la morte.
Abbandonata ben presto la condizione per cui gli intervistati dovessero essere unicamente esponenti della letteratura, Crowe ha dunque suggerito a tredici scrittori famosi di immaginare di incontrare ciascuno una grande icona del passato.
Interviste con il morto si apre con Jimi Hendrix, il quale, interpellato da un curioso Rick Moody desideroso di sapere se i morti abbiano memoria e se si ricordino dei vivi, replica che lassù le persone non sono soggette a vincoli temporali ma che possono vedere vecchi amici e ricordare il passato; inoltre, in risposta a una domanda sulla sua condizione di musicista afroamericano in un contesto perlopiù di bianchi dichiara che la sua musica era espressione di tutti i colori possibili, non di uno solo, aggiungendo infine che anche il ronzio di un insetto così come il rumore dei camion in autostrada o quello dei cavi di un ascensore, a suo giudizio, sono musica. Ma, ci tiene a precisare, non lo sono quelle merde di cose che fa Britney Spears (e verrebbe da aggiungere, con lei molti altri contemporanei).
Andy Warhol, invece, si lamenta con Douglas Coupland (autore del romanzo cult anni ’90 Generazione X) poiché il luogo dove si trova adesso (non sappiamo se si tratti di Inferno, Paradiso o Purgatorio) non è molto esclusivo e la conversazione giungerà ben presto a vertere inesorabilmente su YouTube (un posto dove tutti adesso possono avere i loro 15 minuti di notorietà)… Purtroppo.
L’ex presidente americano Nixon, dimessosi per il famoso scandalo Watergate, intervistato da un suo vicino di casa di nome Tom (personaggio fittizio creato dalla penna della scrittrice A.M. Homes) cercherà in ogni modo di descriversi come una brava persona e di ribadire come tutto quello che ha fatto durante il suo mandato fosse per il bene del Paese e che in fondo, con tutto quello che è venuto dopo (e forse dobbiamo ammettere anche prima, visti gli scandali dei Kennedy) la sua presidenza non sia stata poi cosi male, a partire dal disgelo con la Cina.
Marcel Duchamp risponde quasi stizzito a Michel Faber – che lo descrive come il padre del Dada, il nonno della Pop art e il creatore dell’arte concettuale – poiché lui non vuole essere considerato così, dato che per quanto lo riguarda l’arte non è questione di eredità ma esclusivamente di intuizioni improvvise.
Il marchese de Sade replica invece a una incalzante Rebecca Miller, che continua a sottolineargli come nel posto da cui lei proviene egli sia stato assurto a simbolo di libertinismo ma anche di mostruosi eccessi – tanto che i crimini del suo corpo gli sono valsi un sostantivo (sadismo) e un aggettivo (sadico) –, che in fondo lui è solo un teatrante e si rammarica quando dalla Miller stessa viene a sapere che la sua opera teatrale è stata dimenticata.
Varrebbe la pena, dunque, poter parlare con i morti e forse non tanto per riempire un grande vuoto o per soddisfare curiosità più o meno esistenziali, o almeno non solo per questo, ma piuttosto per render loro giustizia colmando quella grande differenza che spesso esiste fra il modo in cui i defunti sono visti e giudicati da noi vivi e il modo in cui loro parlerebbero di se stessi se potessero ancora farlo.
(Dan Crowe, Interviste con il morto, trad. di Stella Sacchini, 66thand2nd, 2015, pp. 208, euro 18)
LA CRITICA
Idea brillante, scrittura scorrevole e scelta dei personaggi intervistati indovinata. Dan Crowe con questo libro fa sicuramente centro e, al tempo stesso, la 66thand2nd si dimostra una volta di più una casa editrice versatile e innovativa.
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