“Tutti vogliono qualcosa” di Richard Linklater
Gli anni Ottanta come momento di svolta
di Francesco Vannutelli / 17 giugno 2016
Richard Linklater ritorna a raccontare i momenti di svolta della vita con Tutti vogliono qualcosa, apprezzatissimo racconto di formazione, o coming of age, che segue il primo fine settimana al college di Jake Bradford e di quelli che presto diventeranno i suoi amici più cari.
Dopo il racconto fluviale del pluripremiato Boyhood, Linklater si concentra di nuovo su un momento di passaggio, tornando indietro nel tempo al 1993 di La vita è un sogno, il film che per primo aveva imposto il regista texano come grande narratore dei momenti di svolta.
In qualche modo, per come lo ha definito lo stesso Linklater, Tutti vogliono qualcosa è il seguito spirituale di La vita è un sogno: si passa dall’ultimo anno di liceo al primo fine settimana al college prima dell’inizio delle lezioni, dal 1976 all’estate del 1981, quando Jake Bradford (interpretato da Blake Jenner) si trasferisce alla Southeast Texas State University per iniziare il college. Andrà a vivere in una casa poco fuori dal campus insieme agli altri membri della squadra di baseball. Hanno tutti una borsa di studio, hanno tutti il potenziale, e l’ambizione, per diventare dei giocatori professionisti. La vita insieme è un concentrato di competizione e cameratismo, con il desiderio perenne di conquistare qualche ragazza e bere il più possibile. A Jake basta quel primo fine settimana, in attesa che la sua vita universitaria inizi veramente, per capire tante cose di se stesso e del mondo in cui sta entrando.
Se ci si ferma al primo livello di visione, Tutti vogliono qualcosa può sembrare tranquillamente una forma meno volgare dei college movie di culto di fine anni Settanta, Animal House in testa, o di quelle commedie adolescenziali di enorme successo che hanno trovato in American Pie il loro capostipite in tempi più recenti. Tra testosterone, ossessione per il sesso e per le ragazze, alcol, feste, deliri, sballi, annessi e connessi, siamo esattamente in quel territorio, solo che ci siamo in una forma, e con una sostanza, che ha molto di più da offrire di quello che può sembrare a una visione più distratta.
Richard Linklater si è confermato con Boyhood un maestro nella capacità di raccontare la vita per quella che è, senza bisogno di colpi di scena, per assurdo senza bisogno degli artefici cinematografici della costruzione narrativa. È il regista (e sceneggiatore) che più di qualsiasi altro oggi riesce a fondere l’immaginario statunitense classico con la sensibilità del cinema europeo, in particolare di quello francese di Truffaut o di Eric Rohmer. Le pagine su cui preferisce scrivere sono quelle dell’adolescenza, del passaggio dalla boyhood</> alla adulthood in cui tanti si perdono alla ricerca di un’identità.
In Tutti vogliono qualcosa i protagonisti sono tutti maschi di una certa bellezza, molto atletici e fisici, repliche di quell’immaginario portato avanti dal cinema a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta che ha consacrato il modello del “bravo ragazzo americano” e delle sue derivazioni machiste alla Burt Reynolds (e c’è il McReynolds di Tyler Hoechlin che ne è proprio il calco) o intellettuali (il Finnegan, alla Joyce, tutto pipe e pippe logorroiche, di Glen Powell). Il repertorio classico del college movie, però, serve a Linklater da pretesto per parlare di molto altro.
Siamo alla fine dell’estate del 1981, e non è un periodo scelto a caso dal mucchio degli anni. Pochi mesi prima, a giugno, si era insediato alla Casa Bianca l’ex governatore della California, ed ex attore, Ronald Reagan. Gli anni Settanta erano finiti, era finita l’epoca d’oro della disco music, il punk stava arrivando e la società statunitense era prossima a un cambiamento molto più profondo.
Gli anni Ottanta, soprattutto quelli degli Stati Uniti, sono gli anni dell’edonismo, della “Reagonomics”, dell’individualismo, gli anni degli yuppies rampanti, dell’American Psycho di Bret Easton Ellis, del successo cannibale, della spersonalizzazione, della fine delle ideologie, della spettacolarizzazione della cultura pop.
L’arrivo al college di Jake è un momento di svolta non solo per lui, ma per tutto il Paese. La competizione è il motore del cambiamento, l’unica vera forza per l’azione. Non c’è spazio per il passato per la lezione degli anni Settanta del pacifismo, degli hippie, c’è un cambiamento in corso in cui l’unica cosa che conta è essere i migliori.
I ragazzi di Tutti vogliono qualcosa vagano alla ricerca del loro posto, cambiando locali, generi musicali, look, cercando un’identità in un’epoca che ancora si deve definire esattamente come loro. Sono soli, ma sono soli insieme, e questa è l’essenza della vita secondo Richard Linklater.
(Tutti vogliono qualcosa, di Richard Linklater, 2016, commedia, 116’)
LA CRITICA
Richard Linklater si conferma grande maestro nel raccontare i momenti di passaggio della vita. Tutti vogliono qualcosa, dietro al racconto di formazione di Jake, parla degli Stati Uniti all’alba degli anni Ottanta, all’inizio di una nuova epoca.
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