“Appunti da un bordello turco” di Philip Ó Ceallaigh
di Claudia Gifuni / 29 giugno 2016
«Se ti vuoi fare un’idea di come se la passa una città devi andare a vedere i suoi margini. Il centro ti dirà che va tutto bene. La periferia ti dirà il resto».
Appunti da un bordello turco (Racconti Edizioni, 2016), esordio letterario di Philip Ó Ceallaigh, gratta via lo sporco patinato sotto cui Bucarest nasconde i suoi sterminati quartieri in serie. Il centro della città è posto a margine della narrazione, fiaccato e sconfitto dalla violenza sensoriale che domina l’intera periferia.
Pigri operai, infatti, hanno modellato il cemento in grigi edifici di dieci piani e li hanno disposti ordinatamente lungo viali senza nome, lasciando così al tempo il compito di customizzare queste alienanti propaggini urbane. La periferia di Ó Ceallaigh è uno spazio fisico ed emozionale ambivalente, un microcosmo autonomo solo apparentemente piatto. Lo scrittore irlandese, infatti, decide di correre un bel rischio rivestendo ogni racconto di uno spesso monocromatismo cinereo, eppure la narrazione si mantiene perfettamente fluida e i personaggi sfuggono alla trappola della bidimensionalità cartacea.
Le esistenze solitarie dei protagonisti di Ó Ceallaigh non rimangono confinate nei loro monolocali asfittici ma sono calate nel procedere caotico della città. Si scontrano con la folla nervosa e il traffico incessante, uscendone vinte il più delle volte.
La città, dunque, appare come un’enorme ferita purulenta a cui si potrebbe contrapporre la consueta immagine salvifica della campagna. Ó Ceallaigh lo sa, per questo motivo non tralascia nulla e compie delle incursioni nelle zone rurali poste subito fuori Bucarest. Il risultato, tuttavia, è deludente. Non esiste idillio, la campagna è una terra povera e agonizzante, quasi del tutto disabitata. Solo i vecchi sono rimasti a guardia dei propri ricordi e segreti.
Lo smarrimento dei personaggi dunque, è completo ma non definitivo. La catarsi avviene inaspettatamente, in punta di piedi, e chiosa con sorprendente dolcezza una narrazione cruda dell’abbrutimento umano.
(Philip Ó Ceallaigh, Appunti da un bordello turco, trad. Stefano Friani, Racconti Edizioni 2016, pp. 343, 16 euro)
LA CRITICA
Oltre a Bucarest, una manciata di racconti è ambientata in America, mentre uno solo – quello che dà il titolo al libro – in Turchia, eppure odori, colori e suoni si confondono armoniosamente, rendendo le storie i capitoli di un romanzo corale. Un notevole romanzo corale.
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