Cinque consigli di lettura per l’estate

di / 5 agosto 2016

Sarà capitato a molti di entrare in libreria in questi giorni, in fretta e furia, magari a poche ore dalla partenza, per scegliere il libro da portare con sé in vacanza. Una serie di titoli fino a poco prima chiari e nitidi nella mente, diventano improvvisamente un grumo di parole indistricabile. Calma, ci siamo qua noi. Ecco cinque titoli che per un verso o per un altro vi potranno salvare dall’apatia del caldo estivo o dal caos da spiaggia.

 

L’uomo che veniva da Messina di Silvana La Spina (Giunti, 2015)
Siamo nella seconda metà del ’400, periodo di grandi eventi, d’illustri personaggi, di potenti signorie. Ma anche d’intrighi, di catastrofi e insidie di ogni genere, non ultima la peste, che imperversa in Italia. Antonello da Messina, il protagonista del romanzo, giace sul letto di morte. Mentre il prete gli impartisce l’estrema unzione, egli rievoca i tanti momenti, per lo più tragici, della sua esistenza: l’infanzia di stenti, le fughe, i soggiorni in varie città italiane ed europee.
Nella sua agonia, in cui momenti d’incoscienza si alternano ad altri di lucidità, egli immagina di interloquire col suo antico e venerato maestro Colantonio, a cui affida le sue impressioni e descrive le sue vicissitudini.
Si affacciano alla sua mente numerosi personaggi, i più disparati: pittori, signori, servi, che hanno accompagnato la sua travagliata esistenza: Pisanello, Piero della Francesca, i fratelli Bellini; e poi ancora Nannarella, la nana innamorata, il buffone Cicirello.
Su tutti campeggia il nonno, don Michele, gran viaggiatore, uomo di mare e donnaiolo, il solo che sognava per il nipote un destino diverso da quello ordinario, a cui sembrava destinato.
E poi c’è Griet, la figlia bastarda del pittore Van Eyck, l’unico amore nella vita del protagoniste, a cui però egli dovrà necessariamente rinunciare.
Dal contesto emerge il ritratto di un uomo dalla personalità complessa e contraddittoria, consumato dalla volontà ossessiva dell’arte e dal desiderio di conoscere tecniche sempre più innovative, per cui è disposto a ogni rinuncia.
Fluida e agile si presenta la trama del romanzo, con gli avvenimenti che si succedono e s’intrecciano abilmente, su un susseguirsi di continui flashback, che rendono la lettura piacevole e tengono avvinto il lettore per tutto il racconto.
Dario De Cristofaro

 

Riparare i viventi di Maylis de Kerangal (Feltrinelli, 2015)
Cosa sia un cuore umano che batte, quale significato possa avere farlo battere ancora, sebbene in un altro corpo, sebbene quel corpo non sia più quello pieno di vita di un figlio ma dovrà essere quello di qualcun’altro, di qualcuno più fortunato, che potrebbe ancora farcela. Non come lui, non come il tuo povero ragazzo stroncato dopo una giornata di surf. È il dramma di una famiglia, di due genitori posti di fronte alla responsabilità di scegliere se far vivere ancora quella libbra scarsa di carne. Con Riparare i viventi, Maylis de Kerangal ci sospende, ci porta in quelle stanze d’ospedale dove vita e morte si toccano, con il solo sdrucciolevole appiglio che vivrà ancora qualcuno nel mondo in grado di custodire quel preziosissimo tesoro che è il cuore di un giovane, in un gesto che potrebbe riconnettere il «singolo alla società mettendolo al servizio di tutti». Ma che possa bastare come consolazione, in tutti gli anni in cui quel figlio non ci sarà più, ognuno di noi dovrà deciderlo per sé.
Gabriele Sabatini

 

Primo non nuocere di Henry Marsh (Ponte alle Grazie, 2016)
Non avevo in mente chi potesse essere Henry Marsh fino ai primi giorni di marzo quando, per caso, ho visto in libreria il suo Primo non nuocere. Non so se esista un termine adatto per descrivere ciò che mi è successo in quell’istante ma, nonostante sia un ipocondriaco rinomato, ho provato una fortissima attrazione per quell’oggetto: in copertina c’era scritto «Storie di vita, morte e neurochirurgia». Ora, io non sapevo e non so tutt’ora nulla di neurochirurgia, ma scoprire che qualcuno che sa di neurochirurgia si metta a parlare della propria esperienza nel campo della neurochirurgia, beh, mi pare eccezionale – traslando il discorso nella neurologia, si può tirare in ballo il pluricitato Oliver Sacks. In pratica, da buon ipocondriaco, ero rimasto attratto con ferocia da ciò che razionalmente volevo (e voglio) evitare: parlare/ascoltare/discutere di malattie. Quindi ho comprato il libro e sono tornato a casa. Dopo aver passato due giorni intensissimi con Primo non nuocere, posso dire chi è Henry Marsh, oltre un famoso neurochirurgo: uno scrittore meraviglioso. Ogni capitolo del suo libro è un’esperienza con una malattia diversa: piano piano parole come Pineocitoma, Tic Doloureaux, Emangioblastoma, Papilloma Del Plesso Coroideo, Meningioma, Mutismo Acinetico, diventano più chiare, paradossalmente meno paurose, quasi familiari. La grande capacità di Marsh sta nell’esser riuscito a trattare temi complessi e sconosciuti ai più, ma nell’immaginario collettivo comunque inquietanti – perché ovviamente legati alla morte –, calibrando alla perfezione dosi di distacco ed empatia. Ha il grande merito di non spingersi mai oltre la soglia dove risiedono i grandi scrittori. Nessun giudizio, nessuna morale. Marsh si è palesato per quello che è: un essere umano e per questo fallibile. Non so ancora bene come – non mi ci troverò mai, io, con la vita di un altro in mano, e ancor meno avrò mai la sua scatola cranica aperta di fronte ai miei occhi in una sala d’ospedale –, ma mi ha fatto capire quanto possa essere struggente il peso immenso delle responsabilità di un neurochirurgo: ho sentito scendere ogni goccia di sudore sulla faccia, tendere ogni muscolo del corpo per la troppa tensione, tremare le gambe per la paura di fallire.
Tutto questo non per merito mio, ovviamente, ma per merito suo.
Luigi Ippoliti

 

Mailand di Nicola Pezzoli (Neo edizioni, 2016)
Quando inizio a leggere Mailand di Nicola Pezzoli, una voce si fa più certa e riconoscibile attraverso l’inesauribile tela del racconto, come la luce sull’elmetto del minatore svela la realtà prima avvolta dalla penombra.
La voce è quella di un vecchio amico, Corradino, che con questo romanzo chiude la trilogia di formazione iniziata con Due soli a motore e poi proseguita con Chiudi gli occhi e guarda, qui soprannominato Konrad dai suoi coinquilini, Marco, il belloccio emiliano «ciulaciornie», da cui è attratto, e Beniamino, «brutasél» ma intelligente e ironico: «Eravamo molto diversi. Un longobardo, un bolognese e un siciliano…roba da barzellette popolari».
Pezzoli si trova qui a reinventare un nuovo punto di vista del suo protagonista sul mondo. Stavolta, dopo il racconto della sua infanzia in campagna a Cuviago e dell’adolescenza filtrata dal ricordo di un’estate al mare, Corradino è ormai un ventenne, universitario fuoricorso in trasferta a Milano. Anzi, Mailand, Milano in tedesco, per sottolineare il suo smarrimento nella “Milano da bere” anni Ottanta, una città «a misura duomo».
Tra gag esilaranti con i clienti aspiranti suicidi della bizzarra Agenzia per cui lavora e partite infinite a Risiko con Marco e Beniamino, Corradino continua però a portarsi sulle spalle un gravoso carico di angosce paralizzanti circa il suo orientamento sessuale. Si sente «un alieno in cerca dei suoi simili sul pianeta delle scimmie» in anni.
La cura dell’impasto linguistico, fatto lievitare con l’uso del dialetto, neologismi e giochi di parole, rende empatica la lettura di quello che vede e sente Konrad, il suo essere un sismografo umano, sensibile alle scosse non immediatamente percepibili della vita.
Con Mailand la vena immaginifica e umoristica dell’affabulatore Nicola Pezzoli, dal linguaggio formalmente spericolato, entra ancora più in diretta sintonia con i suoi lettori, quale generatore inesauribile di sincere e contrastanti emozioni.
Chiara Gulino

 

I tempi non sono mai così cattivi di Andre Dubus (Mattioli 1885, 2015)
Leggere racconti è un esercizio molto più complesso di quello che un lettore si possa aspettare. Si dice che per gli scrittori scrivere un racconto compiuto sia molto più difficile che terminare un romanzo. Ecco, per il lettore è una cosa simile. Non è che la forma breve renda le cose più semplici, anzi. Richiede una capacità di cogliere i particolari nascosti in ogni singola parola. È un’attività complessa, ma estremamente appagante. Quest’anno ho letto, tra le altre, tre raccolte di racconti che mi hanno colpito in particolare. La prima, in ordine cronologico, è I tempi non sono mai così cattivi di Andre Dubus, la seconda è Il paradiso degli animali di David James Poissant, l’ultima è Trilobiti di Breece D’J Pancake. Sono tre autori statunitensi, di età ed epoche diverse, con stili nettamente diversi l’uno dall’altro. Eppure in tutti e tre ho trovato quello che mi colpisce ogni volta davanti ai grandi racconti: la capacità di rinchiudere un mondo in una parola.
Dubus diceva – è riportato nella Lettera a uno scrittore di Nicola Manuppelli a fine libro – che non bisogna mai cercare simboli in quello che si legge, che non servono. Basta l’evidenza delle parole. È quello che questi tre libri confermano.
Francesco Vannutelli

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