La bellezza non ci salverà
Intervista ad Alessandra Minervini, autrice di “Overlove”
di Teodora Dominici / 18 gennaio 2017
Overlove (LiberAria, 2016), romanzo d’esordio di Alessandra Minervini, affronta in maniera inedita le questioni dell’amore contemporaneo, nonostante la formula “amore contemporaneo” risulti una semplificazione davvero riduttiva, dal momento che l’amore è uno, a tutte le latitudini, e in tutti i quando possibili. A rendere prezioso Overlove, al di là della trama, sono le forme espressive in esso contenute e la sua struttura che ricorda quella del trattato. Per esempio, nei dialoghi che esplicano i titoli delle tre parti in cui è diviso il romanzo (“La mancanza di presente”, “La mancanza di passato”, “La mancanza di futuro”), l’amore viene sempre presentato come assenza: a parlare potrebbero essere i protagonisti o chiunque altro, dentro o fuori dal libro, conferendo una certa coralità all’esperienza amorosa. Ma cos’è esattamente Overlove? Amore in assenza? Eccesso di amore? Forse è il momento di addentrarsi nei retroscena. E dopo esserci reciprocamente e autoironicamente confessate che troviamo orribili le nostre voci registrate (lei “grossa” la sua, io infantile la mia), inizio con Alessandra Minervini pirotecnica intervista telefonica destinata a sfuggire a qualsiasi tentativo di catalogazione.
Overlove è la storia di una relazione che finisce, iscritta in un microcosmo variegato ma ancorato a una realtà perfettamente riconoscibile: una Puglia a te ben nota, rievocata fin nei nomi propri. Come nasce in te l’idea di questa storia e quale è stato – se c’è stato – il la che ha messo in moto il processo creativo?
Innanzitutto è stato un percorso lungo, iniziato nel 2012. Un po’ perché la scrittura porta via una certa quantità di tempo, un po’ per l’effettiva mole di lavoro da conciliare con la stesura del romanzo. Il fulcro è il ritorno in una Puglia che nel frattempo si è trasformata. Lo spunto è raccontare un sentimento di mancanza, l’essere privi di qualcosa, rappresentato parallelamente da Anna e da Carmine, i due personaggi principali. Doveva essere una storia sulla Puglia, sulle radici eluse e riscoperte. Poi inaspettatamente i miei due protagonisti si sono innamorati, da una pagina all’altra, ed è diventata una storia d’amore. Sembra che la tendenza odierna sia “riempire” le storie, qui invece la storia è fatta di assenza, forse anche per il fatto che scrivo togliendo. Meno parole ma più precise. Per il processo creativo posso dire che non si identifica per esempio con la frase “studiato a tavolino”, proprio perché io vivo la letteratura come imperfezione.
Andando oltre la trama nuda e cruda (lei, lui, i modi di declinare la relazione) credi che i significati profondi che hai voluto consegnare al libro siano facilmente comprensibili ai lettori? Come descriveresti il tuo modo di scrivere?
Ho sempre pensato di dire le verità nude e crude, non drammatizzate, ma scritte tra i denti, e per conseguenza di essere diretta e onesta nel trasporre. Il mio modo di scrivere lo definirei una “scrittura dell’attesa”, nel senso che c’è un tempo per qualsiasi cosa, e la scrittura per esempio ne porta via tanto e ne esige tanto, come ti dicevo. Mi viene in mente Annie Ernaux, la lunghissima attesa prima di potersi dedicare alla scrittura. Io per molto tempo ho preferito lavorare e lavorare, per allontanarmi dalla scrittura, che è una prassi difficile da conciliare con la vita perchè fa strage attorno a sé. Con la mia scrittura ho voluto dare l’idea di un mondo senza speranza, un mondo non salvato dalla bellezza, per quanto la bellezza sia ovunque (parlo sia di quella fisica che di quella territoriale e paesaggistica). La bellezza è egocentrismo, e a volte proprio crudeltà.
In termini geografici l’Italia è un esempio perfetto di questo processo, è bellissima ma piena di dolore e contraddizioni: la bellezza costa molto cara, e non risolve niente. La verità è che la bellezza non salva, non salva le persone né i Paesi. Chi si salva è perché accetta se stesso in tutti i suoi limiti, come Bowie e Blondie in Overlove.
Carmine e Anna sono i due poli opposti attorno a cui si orientano tutti gli altri personaggi: lui cantautore quasi sociopatico, intimista, insoddisfatto, dedito alla cura del corpo e al salutismo con un’attenzione quasi maniacale, addensatore di precipitazioni meteorologiche; lei ex ricca, anaffettiva, desiderabile ma respingente. Due freddi, due che litigano a silenzi piuttosto che esternando, due che si inibiscono, che si “censurano” (e in più, lei odia la musica!): come ti sono venuti in mente questi due personaggi e cosa ci vogliono dire?
Diciamo che Anna è un’egocentrica vittima di se stessa. Carmine invece nasce dall’osservazione degli artisti in generale, da queste specie di divinità, persone comuni, con vissuti comuni, che sul palco diventano altro. Una sorta di trasfigurazione. Questa secondo me è una delle divertenti incongruenze degli artisti. Lacerati dalle loro stesse creature. Se in Anna ho voluto riassumere l’incapacità di perdonarsi e di dare affetto, con Carmine rappresento l’inconcludenza come reazione alla paura di emergere ed essere messi a nudo. Per esempio Carmine prova ad allontanare la sua vera natura mettendosi progressivamente in vendita (con il pubblico, con i media, con il sistema). Anna e Carmine in realtà sono la stessa persona, per questo si appartengono, ma sono troppo concentrati su loro stessi, nonostante condividano l’origine da una stessa terra. Una specie di “amo te dentro me”.
Il significato del libro e la sua ambientazione non possono prescindere dalla tematica della creatività, che si traduca nel comporre musica e testi, come Carmine, o nello scrivere libri di successo, come Mario. Ma sia l’ambiente musicale che quello “editoriale” sono descritti a tinte abbastanza fosche: Carmine è continuamente in tensione tra l’essere troppo d’elite o troppo pop, Mario vampirizza la vita delle persone vere usandola per i suoi romanzi. Vuoi dire qualcosa sul perché hai scelto di parlare di questi ambienti?
Tutto nasce dalla lettura delle vite degli artisti, liste infinite di biografie di scrittori, musicisti, romanzieri, attori, che compro e leggo voracemente da anni. Avevo iniziato con quelle dei musicisti e degli attori, poi ho scoperto le vite degli scrittori e delle scrittrici. Quindi la mia personale rivisitazione del tema in Overlove deriva da una profonda conoscenza delle “vite degli altri”. Ho sempre amato i divi, tutto ciò che luccica, che è visuale. Leggendone le biografie sono giunta alla conclusione che gli scrittori in particolare sono portati a fare qualsiasi cosa per la scrittura. Non è una critica, ma capisco che possa inquietare.
In qualità di esordio, Overlove esprime una visione delle cose e della vita molto precisa, che investe i rapporti umani in generale, e quelli sentimentali in particolare: parafrasando le parole di un grande, credi che tutti gli amori felici si assomiglino ma che ogni amore infelice sia infelice a modo suo?
Questa è una bellissima definizione, e sì, è proprio vero, è così, anzi si potrebbe aggiungere: tutti gli amori iniziano, ma non tutti finiscono, ed è la fine che li rende diversi, perciò ogni amore doloroso è infelice nella sua specifica e insostituibile maniera.
Se dovessi scegliere solo tre nomi, chi sono i tre autori che hanno maggiormente formato la tua identità di scrittrice?
Tre fari: Goliarda Sapienza, Fëdor Dostoevskij e Dino Buzzati.
Cosa pensi del fare autobiografia mentre si scrive? Non trovi che imperversi da un po’ di tempo a questa parte una tendenza a portare sulla pagina il morboso, l’esagerato?
Beh, in Overlove la Puglia è un dettaglio biografico usato come spunto letterario. Niente di più e niente di meno. Io tendo a essere molto poco istintiva, amo le scritture che entrano nelle menti degli altri, perché è questo che deve fare la scrittura, instillarsi, prendere possesso. Ho sempre pensato che la letteratura, quando funziona, assomigli a una trappola per incastrare le menti degli altri. E direi che è da questo punto di vista che si può parlare di scrittura cerebrale, perché le cose principali che succedono succedono nella nostra mente, e la mente è in grado di raggiungere obbiettivi molto più grandi che la persona nella realtà concreta.
Per la seconda domanda sono d’accordo ma si dovrebbe aprire un grosso capitolo, la morbosità è tipica della scrittura contemporanea soprattutto maschile, ed è dovuta a una visione troppo ombelicale, proprio… ombelicale, ecco. In Overlove invece ci sono cose “eccentriche” e cose che “eccedono”, come dici tu, ma dedicate al personaggio, mai come autocompiacimento del sé scrivente.
Come agisci nel tuo lavoro da editor?
Mi immedesimo, prendo in tutto e per tutto i panni dell’altra voce.
Visto che hai scritto un romanzo sull’amore anche se non volevi, parlaci dell’amore oggi.
Oggi si dà un valore sbagliato ai sentimenti, c’è alienazione, l’amore è vissuto come ibrido, contiene sempre troppe cose. Come se se ne avesse paura. Perciò si è perso. Ma è vero [ride, ndr], la relazione raccontata nel mio libro è un esempio da non seguire. Decisamente da non seguire. È un libro che vuole comunicare una sorta di allarme. Una storia in negativo. È una cosa difficile da capire, infatti il più delle volte viene letta come una storia d’amore e basta.
La prima cosa che mi ha spinto ad avvicinarmi a questo libro quando ancora ne sapevo poco e niente è la copertina: minimale, coloristica, quasi onirica. In essa l’essenza femminile si mostra, sicura della propria nudità, quella maschile è spersonalizzata, con un vinile al posto del viso. Come è stata scelta?
È vera questa cosa del maschile e del femminile, ti dirò che infatti all’inizio c’era solo la donna, e allora io ho detto a Maria Rosa Comparato, l’illustratrice: «Mettici l’uomo, è proprio qui che serve l’uomo, in copertina». Maria Rosa, anche lei pugliese, ha una sensibilità incredibilmente accentuata, più artistica che grafica, e infatti si vede. È poetica, ha la poesia dentro. La copertina è bellissima e disegnata a mano, ed è la sua prima copertina. Sono felice di poterne parlare perché è un’opera che merita davvero attenzione.
Prossimi progetti? Un altro romanzo forse?
Una raccolta di racconti e un saggio sull’autobiografia. Visto che non voglio diventare quella che si blocca dopo il primo romanzo, non dico niente sulla seconda domanda!
Qui stacco la registrazione, dopo ulteriori confronti su letture imprescindibili («E quindi questi me li consigli? Li ho appena aggiunti al carrello!»), panoramica sulla situazione attuale dell’editoria, e la promessa di incontrarci presto di persona. E di tutte le risposte che ho avuto, mi viene il dubbio che le più importanti siano quelle per cui ha speso meno parole.
(Alessandra Minervini, Overlove, LiberAria, 2016, pp. 200, euro 12)
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