“PURE COMEDY” di FATHER JOHN MISTY
L'opera tragicomica di Josh Tillman
di Giada Ferraglioni / 21 aprile 2017
A luglio dello scorso anno, durante l’ XPoNential Music Festival, Father John Misty aveva anticipato con un lungo soliloquio a tradimento le intenzioni polemiche e dissidenti dell’album al quale stava lavorando. Invece di eseguire la set list in programma, salì sul palco di Camden, New Jersey, esordendo con un: «Che cosa diavolo sta succedendo?». Tutto il rumore che gli si venne a creare intorno incrementò i livelli delle aspettative che, a distanza di quasi nove mesi, sono state più che appagate. Pure Comedy è un lavoro intelligente come pochi, pieno di rimandi al presente e al passato, pieno di ironia e spiritualità, di intrattenimento, di Bibbia.
Parlarne non è affatto facile. Tanto per cominciare perché la presenza di più livelli di lettura rende difficile non fare i conti con la complessità strutturale e la varietà di elementi che compongono l’intera poetica dell’album.C’è la tendenza da folk singer che, nonostante la presenza della back band, non oscura l’indole da solista di Josh Tillman e il suo debito verso un idealizzato Bob Dylan. C’è la persistente contaminazione musicale con un’epoca a cavallo tra i Cinquanta e i Settanta – già emersa a suo tempo ne i lavori firmati J.Tillman (Long May You Run, J. Tillman e la reinterpretazione di “If You Gotta Go, Go Now”) e tornata di prepotenza negli ultimi lavori come Father John Misty (“Ballad of a Dying Man” e “Leaving LA”).
In Pure Comedy i cantautori di Laurel Canyon incontrano Elton John (“Pure Comedy”), alcuni passaggi dei Beatles, la svolta californiana di George Harrison solista, la spiritualità di Cat Stevens, fino ad incrociare, ai giorni nostri, artisti come John Grant e Mark Kozelek.
E poi ci sono i testi, vero cuore della comunicazione artistica dell’ex Fleet Foxes. La capacità di raccontare l’individualismo statunitense contemporaneo servendosi di continuo di spunti e terminologie bibliche, rende la scrittura di Father John molto simile a quella di Faulkner e Steinbeck, senza perdere mai, però, la leggerezza del mestiere: «The only thing that seems to make them feel alive / Is the struggle to survive / But the only thing that they request / Is something to numb the pain with / Until there’s nothing human left / Just random matter suspended in the dark / I hate to say it, but each other’s all we got».
Perché l’orecchiabilità e la piacevolezza dell’ascolto veicolano, in vero stile folk-pop, tematiche che vanno a colpire esattamente quel tipo di disimpegno. Le musiche leggere di cui si serve per arrivare alla critica ironica dell’Intrattenimento, sono proprio il nucleo della profondità dell’album («In the New Age we’ll all be entertainer / Rich or poor, the channels are all the same / You’re a star now, baby, so dry your tears / You’re just like them»).
Nostalgia e innovazione percorrono tutte le tracce del disco, dall’audacia dei tredici minuti della già citata ballata “Leaving LA” (che nell’epoca dell’immediatezza risulta una scelta molto poco commerciale) fino alla ricchissima “So I’m Growing Old on a Magic Mountain”, ugualmente lunga, che si apre ultramelodica e si chiude come un brano post-rock/pop alla Sigur Rós ( Untitled).
Dopo I Love You, Honeybear e Fear Fun, Father John Misty continua ad interpretare la commedia tragica dell’individuo, costruendo un album che insegna e diletta e trovando in questo binomio la forza del suo lavoro. Pure Comedy è il risultato della maestria di un artista che è riuscito a far coesistere, in lui e nel mondo, l’invadenza della Bibbia e le nevrosi di un secolo dal sapere categoricamente laico.
(Pure Comedy, Father John Misty, Soft Rock)
LA CRITICA
Tra Dio, Tv e Laurel Canyon, l’ultimo brillante lavoro di Father John Misty racconta l’epoca dell’Intrattenimento con estrema intelligenza. Una commedia tragica sull’uomo contemporaneo.
Comments