“Warlock” di Oakley Hall
«Ogni mattina una città come questa fa colazione con la vita di un uomo.»
di Alessio Belli / 16 maggio 2017
Non posso definirmi un amante del western. Sono molto legato ad alcune pellicole: Ombre Rosse, Sentieri selvaggi, la produzione di Leone, Gli spietati, Open Range di Costner, l’ultimo Tarantino e le recenti contaminazioni con l’horror come nel caso del bellissimo Bone Tomahawk con il grande Kurt Russell (esteticamente identico al ruolo che poi reciterà in The Hateful Eight). Poco altro per il resto. Però ho un ricordo: l’abituale vacanza in montagna con i miei da bambino e una televisione accesa in camera dopo cena. Rete4, un vecchio western – ma a colori – con Henry Fonda e Anthony Quinn. Era Ultima notte a Warlock, film tratto da Warlock (Edizioni Sur, 2016) appunto, romanzo del 1958 di Oakley Hall subito finalista al Premio Pulitzer. Scene che mi sono rimaste impresse in tutti questi anni e che ho ritrovato intatte presso la loro sorgente letteraria.
Fine dell’Ottocento, Sud-ovest americano, terra di confine. Qui sorge Warlock. L’attività commerciale e quella mineraria fioriscono insieme alla prostituzione e al gioco d’azzardo mentre gli onesti cittadini cercano – come al solito – di proteggere il loro piccolo orticello dalle scorribande dei banditi. Niente di nuovo. Solo che in questa cittadina la situazione è più complessa. Qui non esiste bianco o nero, non c’è il duello tra buono o cattivo, bene contro male. A Warlock ci sono solo linee d’ombra e tante anime dannate disposte a valicarle.
La situazione non è delle migliori, anzi. Ce lo testimonia l’inizio del libro in cui viene riportato il Diario di Henry Holmes Goodpasture: anche l’ultima speranza della città – il vice sceriffo Canning – è stata schiacciata dalla banda di Abe McQuown che oramai non ha più freni e niente e nessuno può più arginare. La città è vessata e non rimane che l’ultima soluzione: affidarsi a un marshal esterno, qualcuno disposto a muoversi dove la legge non arriva. Ecco l’arrivo di Clay Blaisedell, con le sue pistole dal calcio dorato. Dovrà affrontare la banda di Abe McQuown, il nuovo vice sceriffo Bud Gannon (ex membro della band di McQuown!) e la vecchia conoscenza Tom Morgan.
Se fin qui il contesto vi sembra molto aderente al western classico, andate avanti: Warlock è ben altro e il merito è sicuramente di Hall. La Nota introduttiva a inizio romanzo è una dichiarazione d’intenti chiara e si chiude con una frase indimenticabile: «Ripeterò pertanto che quest’opera è un romanzo, e il compito della letteratura romanzesca è la ricerca della verità, non dei fatti».
Oakley Hall si serve dell’impianto western e della storia americana per dare vita a un discorso ben più complesso e intenso. Riesce nel suo scopo creando il più grande tra i personaggi dell’opera, il vero protagonista: Warlock. La città non è solo il classico centro abitato fatto di ferrovia e saloon: è un limbo, una zona di confine dell’esistenza. Un luogo in cui alcuni passano, transitano e ne escono diversi, cambiati, trasformando anche la vita di chi gli sta attorno. Spesso in maniera violenta. I duelli ci saranno, le pistole ruggiranno, ma il lettore sarà molto interessato a vedere come si evolvono i complessi rapporti tra i personaggi, appassionandosi sempre di più a un mondo in cui anche l’ultimo e più sporco dei peccatori ha una possibilità di redenzione. Una redenzione che passa per la strada impolverata e sporca di sangue del centro di Warlock.
(Oakley Hall, Warlock, trad. di Tommaso Pincio, Edizione Sur, 2016, pp. 685, euro 22)
LA CRITICA
Un classico del western che usa i topoi del genere per approfondire le ben più oscure e complesse dinamiche dell’animo umano.
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