Milano ha creato i Coma_Cose
di Luigi Ippoliti / 27 marzo 2019
A Victor Hugo, molto probabilmente, non sarebbe piaciuto il disco d’esordio dei Coma_Cose. Per lui il calembour è «la fiente de l’esprit qui vole», in Hype Aura è uno dei pilastri. Attorno ai giochi di parole e all’omofonia, infatti, ruota il senso dei nove brani che compongono l’album. L’alterazione linguistica è il codice con cui il duo milanese riesce a veicolare il proprio messaggio e, quella che può sembrare una gabbia stilistica, finisce per essere la loro fortuna.
Il giocare costantemente con le parole, tra l’ironico e il sarcastico, mischiato a un’estetica palesemente hipster del duo, citazioni pop e a un pop travestito da hip hop, possono far pensare all’ennesimo fenomeno che sfrutta il momento per emergere. E, per quanto l’estetica possa farlo presagire, abbiamo a che fare con qualcos’altro. Il linguaggio dei Coma_Cose è fresco, pieno di guizzi, dinamico, agli antipodi rispetto alla stantia produzione diffusa ultimamente – un altro grande amante contemporaneo dei giochi di parole, Fedez, è l’esempio chiaro per cui questa è un’arte che non fa per tutti.
«Ma una gioia prima della fermata di Centrale»
«Alice guarda i gatti perché i Kanye West»
«Però questo Naviglio è meglio della Senna che di sicuro non ci muori in curva».
I Coma_Cose sono milanesi e Milano è una presenza costante, quasi eccessiva. Quasi ossessiva. Milano al momento è una sorta di El Dorado reale: oggi tutto ruota a quelle latitudini. O almeno questa è la sensazione che accompagna la capitale lombarda dall’Expo in poi. È finito il tempo delle battutacce come panacea del conflitto Milano-Roma, complice anche uno spostamento lento del baricentro musicale, dove l’immaginario un po’ alla volta inizia a migrare da Roma verso la Lombrardia: tralasciando i milanesi Ghali e Mahmood, con “Milano Roma”si può assurgere Tommaso Paradiso a traghettatore di questo esodo.
In Carl Brave e Franco126 Roma risulta essere solo uno scenario, qualcosa con cui non si riesce a dialogare, il ricordo di un paesaggio che accompagna la quotidianità, gli amori e le sconfitte. Ma Roma è una città morta. Roma è una città che vive perennemente nella sua memoria. E quindi si muove come uno spettro alle spalle di quello che succede ai sue romani. Milano, invece, è una città viva: in Hype Aura i luoghi di Milano sono le canzoni, le canzoni sono i luoghi di Milano.
Nel 2011 – altra epoca, aspetto che segna il trapasso – Niccolò Contessa era riuscito a con Il sorprendente album d’esordio dei cani a cantare Roma come qualcosa che vibrava: «Gli artisti in circolo al Circolo degli Artisti» è stato il manifesto di quel momento storico. I Coma_Cosa riprendono quella capacità di inglobare la propria città, farla musa e foraggiatrice di idee, passano attraverso a questi anni di ibrido pop/hip-hop/rap e con talento riescono a scrivere un album che guarda al futuro e non si specchia felice di essere uguale a tutti gli altri.
E il futuro dei Coma_Cosa è il punto più interessante: nell’ascolto di Hype Aura è intrinseco uno sguardo verso il loro prossimo album. Lo si intravede, spogliato di certe logiche che dominano questi giorni e che, per forza di cose, hanno influenzato questo loro esordio. Osando forse un po’ di più, continuando a costruire universi linguistici stranianti, saremo di fronte a qualcuno che potrà essere qualcosa di più di un semplice calembour.
LA CRITICA
I Coma_Cose cantano Milano in un album dove i giochi di parole la fanno da padrone. Hype Aura è un ottimo disco d’esordio che lascia intravedere quello che potrà essere.
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