Il bellissimo esordio dei Meds

M01, la prima fatica della band romana

di / 17 maggio 2019

Copertina dell'album M01 dei Meds su Flanerí

M01, il primo lavoro dei romani Meds, è un suicidio. In un momento storico musicale come quello che stiamo vivendo, scrivere un album del genere, che spazia dall’idm, all’elettropop, alla techno, in inglese, somiglia al decidere di partire in guerra senza armi. Quello che può essere genuinamente un assecondare la propria sensibilità artistica e le proprie pulsioni, in questo caso, vista l’altissima qualità profusa nell’arco di tutto l’album, può avere i connotati di un atto di ribellione.

Per questo è fondamentale parlare anche di gruppi esordienti come i Meds: per ricordare che possono essere prodotti in Italia lavori che non rispondano perfettamente a canoni estetico-stilistici preconfezionati, di cui il mercato si nutre e che in questi anni sta prendendo una piega sinistra. E perché, spogliato di una cerebralità percepibile immediatamente dall’insieme nome del gruppo-titolo dell’album-copertina, M01 è un album fortemente ascoltabile e godibile. Chiaramente non alla Tommaso Paradiso, ma è un lavoro decisamente incentrato sulla ricerca della melodia vocale, che emerge in maniera importante, attorno alla quale ruota un universo sonoro dove la sensazione netta è che nulla sia lasciato al caso.

Un brano in particolare, “NBF”, ha un livello di scrittura che lo rende spendibile per un pubblico che non deve per forza definirsi come nicchia, ma che può trovare consensi a livello trasversale. Pieno di Thom Yorke – più The Eraser che Tomorrow’s Modern Boxes – e quindi di Apparat (anche nella sua accezione Moderat), è costruito in tal modo da dare spazio a un ritornello iper orecchiabile senza essere melenso, stucchevole o furbo.

Da queste parti non si ricorda un qualcosa del genere. Neanche da Wrongonyou, artista italiano che scrive in inglese e che può in parte essere assimilato ai Meds.

Attenzione, comunque: le qualità di M01 non emergono solo in contrasto con quello che oggi definisce il panorama musicale. Sarebbe scorretto relegare M01 a negativo di un mondo dove la normalità è l’itpop, la trap o i proseliti di X Factor. I tre hanno tirato su un album scritto e prodotto con una precisione davvero eccezionale: la già citata “NBF”, o “Talk with the fire”, potrebbero essere ascoltate in uno dei qualsiasi mega festival sparsi tra l’Europa e gli Stati Uniti.

Ma è tutto l’album ad avere una sua coerenza sonora e narrativa: l’apertura e la chiusura sono assegnate a due pezzi strumentali, “Intro” e “Track 0”, che suggeriscono una certa ciclicità insita nell’album. “Intro” spazia da un ambient industriale che chiede aiuto ai Kraftwerk di Radioactivity e va a finire, idealmente, in “Track 0”, nella techno che negli anni è andata a mischiarsi con l’indie (“Flux” dei Bloc Party, per esempio). E viceversa.

Al loro interno, cinque brani pop imbevuti di idm e glitch dove i già citati Thom Yorke e Apparat fanno da guida e dove una voce che a volte vibra come Anthony and the Johnson si muove tra lande radioheaddiane.

Sarà pur vero che M01 è un suicidio, ma non è una sconfitta. L’esordio dei Meds è un ottimo lavoro che merita di essere ascoltato non solo perché esteticamente bello, ma anche perché vendibile. L’inglese è uno scoglio enorme da superare: basta pensare all’esperienza degli Afterhours per capire come sia complesso entrare per gli artisti italiani nel mercato italiano con l’inglese. Ma i tempi sono altri e magari l’approccio prima o poi cambierà.

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LA CRITICA

Ottimo esordio per i Meds: M01  è un alieno nell’attuale contesto musicale italiano. A cavallo tra pop, elettronica e techno, i tre romani scrivono un lavoro davvero convincente.

VOTO

7,5/10

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